Dove stai andando anima mia

che ricerchi l’oblio

per sanare la tua inquietudine?

 

"...ti insegnerò, mia anima,  questo passo d'addio...." [Cristina Campo]

Incontrare un altro

è trovare la porta di se stesso.

 La porta aprendosi liberò tanto silenzio.

 Che nessun fiore apparve, né i verzieri;

 solo lo spazio immenso nel vuoto

 e nella luce apparve d'improvviso

 da parte a parte,

 colmò il cuore,

 lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

 Strane alchimia di passione ... [Cristina Campo]

 

 I volti dell'inquietudine

 "Inquietudine che non è quella di altri tempi, in cui la vita era ricca di avventure, poiché è un'inquietudine che sopportiamo, nella quale ci sentiamo reclusi.
È un'inquietudine che ci viene da fuori, non un'attività liberatrice che scaturisce da dentro. La cosa più umiliante per un essere umano è sentirsi portato, trascinato come se gli si concedesse a malapena un'opzione o fosse a stento possibile scegliere, senza poter prendere alcuna decisione perché qualcun altro, che non si prende la briga di consultarlo, la sta già prendendo al suo posto.
Tale passività si manifesta nella più tremenda solitudine. Oltre a sentirci inquieti ci sentiamo anche sottomessi a una "solitudine senza tregua". Ma con la solitudine succede lo stesso che con l'inquietudine: anche la solitudine è propria della vita di sempre, anch'essa sta nel fondo della vita umana. La solitudine dell'epoca di crisi è tuttavia ben diversa dalla solitudine dell'uomo sveglio, dato che non è dovuta a una maggiore lucidità e può perfino racchiudere una maggiore confusione. Si tratta di una solitudine provocata dall'inquietudine, poiché non sappiamo, né possiamo essere in qualche modo certi di alcunché. Ci ritroviamo così soli perché siamo inquieti e confusi".


Maria Zambrano, "Verso un sapere dell'anima",

 

evidenzia a tutto tondo come l'inquietudine, e la connessa solitudine, abiti da sempre l'uomo come originario segno dell'anima.

C'è una forma autentica di inquietudine, oltre a quella mistificante indotta dall'esterno, ed è quella che abita l'anima già nella sua fase aurorale: quell'ardente amore per l'infinito, fissato per sempre nelle vibranti pagine di Pascal

Fabio Gabrielli

 

La sete di infinito

 

L’inquietudine come desiderio irrisolto di una mancanza di fondo, come insopprimibile esigenza umana di ciò che è straordinario e maestoso: l’Infinito.

 

 

 

 

L'inquietudine, come modo instabile di abitare il mondo, è sentimento di una mancanza, desiderio di un “qualcosa” che non possediamo. L'analisi di Locke sull’inquietudine coglie nel segno: « Il disagio che un uomo avverte per l'assenza di una cosa qualunque la cui presenza attuale porta con sé l'idea di piacere, è ciò che chiamiamo desiderio».

Inquietudine e desiderio per Locke, dunque, si identificano, poiché anche il bene più grande, pur riconosciuto come tale, non muove la volontà finché il nostro desiderio non ci abbia reso inquieti per la sua effettiva mancanza. Non a caso, un altro grande filosofo, Condillac, parla di inquietudine o tormento, insomma di indicibile sofferenza, quando c'è privazione di qualcosa che desideriamo fortemente; se, di contro, il desiderio s'appunta su una mancanza di poco conto c'è solo “malessere o leggero dispiacere”.

Inquietudine e desiderio della mancanza rinviano ad una sorta di angoscioso struggimento per un amore non corrisposto da parte della vita, di questa vita, che vorremmo totalizzante, appagante, espressiva di un'assoluta pienezza di senso che, in realtà, non le appartiene.

Insomma, la volontà è strutturalmente inquieta, poiché spera nell'introvabile; ama ciò che è straordinario, maestoso; partecipa dell'infinito; cerca in ciò che non le è noto quello che non trova nelle cose comuni, quotidiane.

L'uomo, in altri termini, si vede come un essere divaricato tra desiderio e assenza, come un essere irrisolto, frustrato, come proiezione solo ideale verso un Oltre - l’Infinito -  che sempre gli sfugge, perché la natura umana è contraddistinta dal destino di abitare un mondo contingente.

Fabio Gabrielli

 

     

 

  

LA FORZA PROPULSIVA DELL'INQUIETUDINE

Quando parliamo di inquietudine ci riferiamo a qualcosa di negativo. Invece io credo che dietro la parola inquietudine si celi una grande forza che la pace, la tranquillità e la serenità non possono dare. La parola inquietudine ci induce a pensare a qualcosa di irrequieto, in movimento, di instabile. Tutto ciò che è stabile per definizione non si muove. E se non si muove non cambia, ma si radica e si pietrifica lasciando tutto esattamente com’è. Ma diceva il filosofo “tutto scorre”. Ciò significa che l’essenza della vita è il cambiamento, il movimento. Perciò l’uomo è per sua natura inquieto, nel senso che da sempre nella storia è spinto da una irrequietezza che è il suo primo motore. Dal canto mio ribadisco più volte nelle mie poesie che non c’è pace per me. La mia più grande forza da sempre è questa irrequietezza che, si badi, è però estremamente distruttiva. Purtroppo di gente ferma nella vita ne incontriamo tanta: una schiera di ipocriti che non batte ciglio davanti a niente. Ribadisco ancora che l’indignazione è un valore irremovibile, una rabbia costruttiva che inquieta lo spirito e per questo lo fa muovere. Certo è vero che chi non si smuove davanti all’ingiustizie della vita campa 100 anni. Ma la condizione da soprammobile dell’esistenza è veramente auspicabile?Ovviamente no.

Stefania Calledda

http://fronesis82.splinder.com/

 

Desdemona Undicesima.
43*
Inquietudine, non è malattia questo amplificato turbamento. Mentre cercavo nuove parole per descrivere l’incomprensibile, in queste stanze ho scoperto nuovi precipizi.

Isabella Santacroce