UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRIESTE

______________

 

 

 

FACOLTA' DI SCIENZE POLITICHE

 

 

 

Tesi di laurea in Filosofia della politica

 

 

 

 

 

SIMBOLO E POTERE AMMINISTRATIVO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Laureando:                                                    Relatore:

Paolo Benedetti                                             Chiar.mo Prof. Claudio Bonvecchio

                                                                       Correlatore:

                                                                       Chiar.mo Prof. Domenico Coccopalmerio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno Accademico 1998-1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dedicato a mia madre

ed alla mia famiglia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

INDICE

 

                                                                                                   Pag.

 

 

I)       Un percorso tra simbolo e potere amministrativo                       4

 

 

 

 

II)      Il Simbolo                                                                              14

 

 

 

 

III)     Il Potere                                                                                 37

 

 

 

 

IV)    L'amministrazione                                                                 51

 

 

 

 

V)     Un'indagine possibile?                                                          63

 

 

 

 

         Bibliografia                                                                           80

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo

 

 

 

 

I

 

 

 

 

UN PERCORSO TRA

 

 SIMBOLO E POTERE

 

AMMINISTRATIVO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

         L'oggetto dell'analisi di questa tesi vuole essere il territorio amministrativo ed il suo rapporto con l'ambito simbolico e la gestione del potere. Nella società contemporanea italiana, le tendenze federaliste ed autonomistiche, lo sviluppo del decentramento, la semplificazione amministrativa, hanno contribuito ad affidare la gestione di parte del potere centrale agli organi  periferici. Le istituzioni locali (Regioni, Provincie, Comuni) ultimamente, sono state investite di sempre maggiori compiti d'intervento in svariate materie al fine di trasferirne anche gli oneri economici e che comunque, nella logica della modernità radicale fa parte dei rapporti di riaggregazione, cioè di riappropriazione dei rapporti sociali in ambito locale[1].

         Non si vuole certo pretendere e nemmeno tentare di offrire né una soluzione teorica né analitica per un oggetto sicuramente complesso ed in continua evoluzione; il campo in cui si esprime il potere, o più precisamente una quota di potere, è quello di un sottosistema che viene continuamente influenzato e sollecitato sia dalla propria elaborazione riflessiva dell'evoluzione sociale, sia dai suoi rapporti con altri sottosistemi, come pure dal sistema da cui deriva[2]. Si cercherà semplicemente di offrire un veduta estremamente generale ed introduttiva ai rapporti tra istituzione locale (l'amministrazione), potere e ambito simbolico.

         L'approccio non può che essere  multidisciplinare. I concetti che sono oggetto dello studio, presi singolarmente, si possono sicuramente analizzare efficacemente e compiutamente dal punto di vista delle singole discipline, da un unico livello di analisi.

         Per quanto attiene al concetto di simbolo, gli ambiti di approfondimento possono essere i più disparati: quelli della semiotica, dell'estetica, della storia delle religioni, della filosofia, della psicologia  e della psicologia sociale, come pure dal punto di vista della scienza politica[3].

         Più limitata la prospettiva che attiene al potere, affrontato empiricamente dalla scienza della politica, dall'antropologia, dalla filosofia della politica e dalla storia delle dottrine politiche; e l'analisi dell'amministrazione, trattata compiutamente nella prospettiva sociologica ed in quella del diritto amministrativo[4].

         Politica ed universo simbolico è un tema che viene geneticamente ed intimamente legato all'attività umana. Il più umile lavoratore, nei suoi rapporti tra individuo qual'è e sottoinsieme del mondo di lavoro a cui appartiene, viene chiamato a "celebrare" il rito sindacale nel quale  consegnerà la propria quota di potere al delegato di sua fiducia nel cerimoniale dell'assemblea.

         Di tale ritualità, di tale pregnanza simbolica, la nostra attività quotidiana ne è piena, anche se nella maggior parte dei casi non ne siamo consapevoli.

         Se per Weber l'azione  deve essere dotata di senso e la relazione sociale deve essere attribuita dagli attori di un minimo di senso comune[5], secondo altri autori appaiono indispensabili alla vita collettiva, sociale i "fattori simbolici ed affettivi"[6].

         I contributi teorici delle idee elaborate nel presente lavoro, si rifanno all'interazionismo simbolico[7] di H.G. Mead per il quale nell'uomo il "significato" diventa simbolico, intersoggettivo, la realtà acquista senso perché ingloba una serie di oggetti dotati di "senso comune". E' con il processo di interazione,  comprendente un insieme di significati condivisi, che permette all'uomo di crescere sia come individuo, sia come attore sociale. E' certamente possibile confrontare la concezione di Mead con la relazione dotata di senso comune weberiana di cui sopra. Inoltre il processo dell'interazionismo simbolico, rende possibile l'emergere del "sé", ossia l'essere oggetto a se stesso dell'individuo, che in tal modo è capace di "vedersi" come gli altri lo vedono, dandogli la possibilità di comunicare, oltre che con gli altri, anche con se stesso[8].

         Altro classico a cui non è possibile non fare riferimento è Emile Durkheim[9] per il quale dall'interazione degli attori sociali si crea la realtà sociale intrisa di trascendenza propria della religione. Durkheim paragona riti e funzioni religiose con le festività civili. Si tratta dell'homo credens, opposto all'homo oeconomicus come afferma il  Moscovici[10]. Spazio, tempo e le altre categorie conoscitive per Durkheim hanno origine sociale anche se sono aprioristiche, sono "rappresentazioni collettive"[11].

         Un ulteriore contributo è fornito dall'analisi della scienza politica effettuata da Lasswell e Kaplan[12] sui quali influisce l'ambiente dell'università di Chicago e la stessa opera di H.G. Mead. Appare importante il contributo di Lasswell relativo all'analisi sulla propaganda, cioè sulla manipolazione simbolica al fine di guidare in una direzione voluta le cariche emotive delle masse[13]. A questo punto appare necessario fare riferimento anche alle teorie degli elitisti che influenzarono l'opera di Lasswell e per i quali anche in una società democratica la politica è sempre un rapporto tra una élite che comanda una maggioranza[14]che obbedisce.

         Anche l'analisi della modernità, nella visione di Anthony Giddens[15] è un importante contributo che ci offre una visione del rapporto tra individuo, società, l'interazione con i "sistemi esperti". Nel contesto qui sviluppato ci interessano particolarmente gli emblemi simbolici presenti nei meccanismi di disaggregazione[16], e il primo fattore filtrante il sapere: il potere differenziale che potremmo ricollegare alla teoria elitistica[17]. Si deve inoltre ricordare una delle dimensioni della modernità indicate dall'autore: la capacità di sorveglianza[18] ed il suo rapporto con potere, società e territorio. Ritroviamo pertanto proprio nella prospettiva della modernità i concetti relativi la nostra analisi.

         Ed è proprio sul concetto "geografico" di territorio che possiamo smascherare la "mistificazione"[19], la "menzogna"[20], la "metafora"[21] del potere. E' nell'ambito del potere amministrativo, il locale rispetto il globale, nel territorio vissuto dall'individuo, ove "i geografi del re" innalzano rappresentazioni simboliche da far condividere, affinché i sudditi, pardon, i cittadini rimangano im-ploratori con l'illusione di essere ex-ploratori[22].

         Se l'uomo è intimamente legato al mondo simbolico, nelle sue attività verrà riflessa questa necessità; anche la politica, anzi soprattutto nella politica si concretizzerà tale necessità. Vedremo più avanti che proprio nei totalitarismi la caduta di referenti simbolici spinge verso la violenza estrema ed alla "prassi allegorica" ad un "teatro di fantasmi"[23]. Miti e riti in politica sono particolarmente riscontrabili nelle campagne elettorali, la partecipazione alle scelte politiche con il voto diventa un atto rituale condiviso sia dalla maggioranza che dall'opposizione al fine di far sopravvivere il sistema (in questo caso il sistema democratico) che solo con tale espediente può sopravvivere.

         Vedremo che il simbolo a livello psicologico appare necessario alla "vita psichica" dell'individuo, l'uomo è animale simbolico; il simbolo è pure necessario a fornirgli sicurezza, dà all'uomo la possibilità di avere "fiducia" nella complessità moderna in cui è immerso.

         Nella prospettiva della politica, tale necessità viene utilizzata dal potere, dalle istituzioni democratiche riconosciute, in poche parole dal governo, attraverso i rituali simbolici giurisdizionali, legislativi ed esecutivi. Tale pregnanza simbolica  dell'attività politica democratica, svolge due compiti fondamentali: dispensare sicurezza e mistificare le scelte governative che altrimenti potrebbero creare tensioni sociali. A questo proposito si possono citare quelle che Coccopalmerio chiama "leggi manifesto"[24]: un caso concreto è quello dell'art. 65 della legge 448/98 collegata all'ultima finanziaria italiana, la quale ha avuto un'ampia risonanza sui media. Tale norma prevede l'aiuto finanziario alle famiglie numerose in possesso di determinate caratteristiche economiche. Tale risonanza non appare sicuramente adeguata al limitato numero di famiglie che potranno beneficiarne ed al minimo impegno finanziario che dovrà sopportare lo Stato. Tra l'altro, sei mesi dopo l'approvazione della finanziaria, tale collegata è ancora senza effettività per mancanza del regolamento di attuazione che doveva essere promulgato entro marzo 1999. Tale esempio diventa paradigmatico del significato simbolico e mistificante che la politica, il potere politico affida alla sua funzione.

         Tutto questo serve a convincere i cittadini di partecipare attivamente alla gestione del potere oltre a rafforzare la fiducia nelle decisioni governative. In realtà la politica viene gestita da un gruppo ristretto di politici di professione i quali rappresentano precisi gruppi d'interesse che, naturalmente, si aspettano dei benefici.

         Lo sviluppo della tesi, procederà, dopo questa generica premessa, affrontando l'analisi multidisciplinare dei tre concetti che appaiono nel titolo. Ad ognuno di essi sarà dedicato un capitolo di approfondimento per poi confluire in una ipotesi "conclusiva" che però vuole essere semplicemente uno stimolo, un punto di partenza per ulteriori approfondimenti in un campo di estrema complessità.

        


 

                    


 

 

 

Capitolo

 

 

II

 

 

IL SIMBOLO

 

 

 

 

    

 

 

 

 

 


 

         L'etimologia della parola simbolo deriva dal greco symbolon "metto insieme", acquisito poi dal latino symbolum con il significato di "contrassegno". Il mettere insieme indica uno scopo originario rivelatore[25]: ad esempio le due metà della moneta spezzata rinviano l'una all'altra in una reciproca assenza per realizzare, però, la propria concordanza quando si ricompongono nell'unità perduta[26].

         Nel linguaggio comune si utilizza più frequentemente il termine "segno" inteso come una rete di somiglianze di famiglia, mentre "simbolo" sembra appartenere al linguaggio colto e soltanto preso a prestito da quello quotidiano. Sebbene i due termini vengano quasi sempre posti in rapporto, il termine "segno" in molti casi viene utilizzato quando ci si riferisce ai rapporti comunicativi tra animali, in contrapposizione ai rapporti tra esseri umani[27]; poiché nella comunicazione tra esseri inferiori i segni non sono prodotti da un interprete e non agiscono come sostituto di un altro segno. Inoltre i segni sarebbero "rappresentativi" dell'oggetto a cui si riferiscono, mentre i simboli portano a "concepire"[28] l'oggetto, trascendendo i limiti del tempo e dello spazio. Tale contesto è ben sintetizzato da Becker[29] per il quale "la natura umana fornisce a tutti ossigeno per vivere, ma solo l'uomo potrebbe creare un mondo in cui l'acqua "santa" diviene uno stimolo particolare"; proseguendo con la citazione di White[30]: "l'uomo [...] può e gioca un ruolo attivo nel determinare quale valore deve avere lo stimolo vocale. [...] l'animale inferiore può ricevere nuovi valori, può acquisire nuovi significati, ma esso non può crearli o concederli. Solo l'uomo può fare questo".

         Si ritiene così che il "segno" anche quando è utilizzato come "simbolo" si riferisce sempre ad una realtà fisica, mentre il simbolo ha un mero "valore funzionale"[31].

         Però la definizione del termine solo di rado viene data; una conclusione indiretta si può trovare in Lalande[32] per cui si arriva a stabilire che simbolo è troppe cose e nessuna.

         Alcuni studiosi sembrano concludere più o meno esplicitamente che simbolo e segno siano sinonimi[33] uniti dalla caratteristica comune per cui "una cosa sta per l'altra" in entrambi i concetti. Tuttavia vi è chi individua un "nucleo duro" del termine in esame e denominato "modo simbolico"[34].

         Diverse teorie[35] collocano l'area del simbolico nella prospettiva semiotica per cui l'attività simbolica dell'uomo trae origine dalla complessità dell'esperienza;da qui la necessità di organizzarla in strutture di contenuto a cui corrispondono sistemi di espressione. Ecco allora che il simbolico, in questa prospettiva, consente sia di nominare che di organizzare l'esperienza "rendendola pensabile e comunicabile". In tal modo il simbolo entra a far parte integrante e necessaria del pensiero in un rapporto indissolubile tra simbolo e pensiero umano[36].

         Sempre in ambito semiotico possiamo ancora citare gli interventi di Charles S. Peirce per cui il simbolo è legato all'oggetto o al contenuto in virtù di una convenzione sociale arbitraria[37].

         Ancora da tale prospettiva si può fare riferimento al notissimo lavoro di de Saussure[38] ed al procedimento di "ratio difficilis"[39], oppure al senso "indiretto" todoroviano[40]. Ma non è questa la sede per approfondire ulteriormente la natura semiotica del concetto in esame per la quale si rinvia alla notevole ed importante letteratura, ritenendo sufficienti i brevi cenni esemplificativi delle note.

         Si ritiene però necessario ancora un breve intervento relativo al simbolo estetico, in un primo approccio che può riferirsi al simbolo romantico[41].

         In questa prospettiva il simbolo viene inconsciamente interpretato e reinterpretato esprimendo ciò che non è possibile spiegare razionalmente.

         E' necessario in questo contesto citare Hegel che nell'Estetica considera il simbolico come situato prima e al di fuori del momento artistico, non identificando il momento artistico con quello simbolico, e le forme solo richiamano ad un significato contiguo più ampio. Hegel stabilisce una equivalenza enigma-simbolico: la forma allude, appare enigmatica, ed è a questa allusione, a questo essere enigmatica, alla emissione e ricezione di una "nebulosa di contenuto"[42] per cui ognuno interpreta liberamente e come a lui più consono, che si fa riferimento al "modo simbolico"[43].

         Una teoria estetica viene pure rilevata nell'opera di Gregory Bateson[44], ove non si trova il termine "simbolo", ma da gran parte delle citazioni, nonché dal significato generale attribuito all'opera batesoniana tesa all'"indagine sulla più ampia struttura che connette" vi è il continuo riferimento alla natura estetica delle relazioni umane ed il carattere pragmatico della cultura non può essere scissa se non in maniera irresponsabile dal suo background emozionale, dallo "spirito caratteristico" di una comunità.

         A questo punto si ritiene necessario affrontare l'analisi da un altro punto di vista: nella teoria degli archetipi di C.G. Jung[45] si identifica l'analogia tra simboleggiante e simboleggiato, come pure rileva l'indeterminatezza del significato: analogia e nebulosità. Già nel primo paragrafo di questo capitolo, al solo accenno etimologico, ci siamo imbattuti in un archetipo: quello dell'unità[46].

         E' negli archetipi che si ritrovano, in parte, le répresentations collectives di Lévy-Bruhl, le "figure simboliche delle primitive visioni del mondo"[47]. I simboli sono quindi allusivi, con significati plurimi, inesauribili, contraddittori e paradossali. Sono espressione sia del lato oscuro che di quello luminoso ed hanno il compito di compensare le anomalie della coscienza, ma non si può sapere in quale direzione andranno: verso la santità oppure verso l'eresia?

         L'attività degli archetipi si manifesta attraverso i miti ed i simboli che rappresentano l'espressione collettiva della universalità presente in ogni uomo.

Il pericolo è quello di decifrare e rendere conoscibile il contenuto del simbolo. E' ciò che è successo ai simboli classici e cristiani i quali, in questo modo, hanno perso la loro funzione "numinosa"[48] rendendo possibile la secolarizzazione operata dall'illuminismo. Ma l'uomo non si è reso ancora conto che "distruggendo la facoltà di reagire ai simboli e alle idee religiose, l'abbia messo alla mercé di questo mondo psichico sotterraneo"[49].

         L'uomo moderno, fiero della sua razionalità illuminista crede essersi sbarazzato delle vecchie superstizioni, si è affannato ad analizzare e razionalizzare gli antichi simboli, ma ne ha creati di nuovi con il linguaggio scientifico, oppure ricorrendo a indovini e ciarlatani o, ancora, ai riscoperti riti religiosi[50].

         Nella teoria di Jung, il depauperamento di significato dei simboli, la mancanza di una istituzione che ne guidi la forza rivoluzionaria in un dogma[51], la ineluttabilità degli archetipi, ha reso possibile l'affannosa ricerca di "mana" nei simboli delle religioni orientali; ha pure reso possibile la tragica avventura "simbolica" della prima metà del secolo, come la nascita della psicologia come scienza preposta ad esemplificare razionalmente la insicurezza ontologica che deriva dal riportare le forme dell'inconscio al di fuori dello "spazio cosmico, ultrapsichico". In questo modo l'uomo conosce il vuoto psichico, la "via dell'anima" come la chiama Jung, che però porta solo "all'acqua", a "quell'oscuro specchio che poggia sul suo fondo"[52].

         Jung afferma poi la presenza dell'archetipo naturale dell'Anima; elemento necessario, "fattore aprioristico" anche se è uno dei tanti che fanno parte dell'inconscio. E' però l'archetipo dell'Anima che permette di arrivare al regno degli 'dei'[53], permettendogli di affrontare l'incontrollabile.

         E' anche doveroso citare, ancora, la concezione del simbolo secondo Ricoeur per il quale esso è legato alla cultura ed alla lingua, e da esse "incorniciato" nei loro limiti[54].

         Invece per il mistico, per l'artista, il "modo simbolico" rappresenta il mezzo per arrivare alla "verità". In questo contesto appare esemplare la mistica ebraica per la quale il testo stesso, la Torah è simbolo della verità, stando per un qualcosa che solo Dio stesso, nell'era messianica, rivelerà compiutamente.

         Il discorso si complica nell'esegesi patristica dove si deve affrontare l'ermeneutica di Antico e Nuovo Testamento. La difficoltà è data dal fatto che significato e significante sono l'unità (torna l'archetipo?): il Cristo che è anche Logos. Cristo-Logos è l'emittente delle Scritture che parlano del Logos-Cristo in maniera indiretta[55] e che bisogna interpretare tramite Cristo come Logos[56]. A complicare la questione soccorre il messaggio della Scrittura, il Numinoso, il Tutto, per cui ogni interpretazione può essere quella giusta. Nasce allora il problema di porre un limite al pericolo del proliferare di interpretazioni; esso è risolto affidando alla Chiesa l'autorità garante della interpretazione "corretta". Funzione questa di primaria valenza psicologica e sociale poiché l'auctoritas, affidataria riconosciuta dell'interpretazione custodisce ciò che è considerata la "verità" e per mezzo del modo simbolico controlla e gestisce la società [57].

         Il simbolo relativo l'espressione artistica contemporanea non è destinato al controllo sociale e rinvia a qualcos'altro, ma rimane intraducibile perché non è simbolo collettivo, bensì privato, avendo subito una secolarizzazione totale.

         Ecco quindi che il modo simbolico può essere applicato ad un testo che rimane comunque autonomo nel significato retorico; oppure nella mistica esso indica una via che porta alla "verità" per mezzo dell'interpretazione dell'auctoritas.

         Proseguendo l'analisi del concetto secondo la prospettiva psicoanalitica, Erich Fromm elabora il concetto di linguaggio simbolico, lo considera "fonte di saggezza" e strumento irrinunciabile per una completa conoscenza di noi stessi. Citando il Talmud, afferma che "i sogni non interpretati sono lettere aperte"[58]. Più avanti l'autore approfondisce il concetto di simbolo, andando oltre alla consueta definizione del "stare al posto di qualcos'altro", affermando che nel "linguaggio simbolico le esperienze interiori vengono espresse come se fossero esperienze sensoriali"[59].

         Individua pure una tipologia del simbolo che si avvicina particolarmente alla teoria jungiana e che si riscontra soprattutto nel tipo del simbolo universale[60].

         In Jung[61], Cassirer[62], Todorov[63], Bonvecchio[64] ed altri, è riscontrabile la schizofrenia in cui vive l'uomo occidentale contemporaneo il quale da un lato "converte instancabilmente i segni in simboli"[65] e dall'altro "afferma che tutto è segno, che il simbolo non esiste"[66]. Rifiuta razionalmente la sua natura di 'animal symbolicum"[67], la nasconde mentre è proprio tale natura che lo rende diverso, unico, lo distingue nettamente dal regno animale; eppure è l'uomo stesso che relega ai primitivi, ai bambini ed ai malati mentali il pensiero simbolico, mentre egli stesso crea nuovi simboli attraverso il linguaggio scientifico.

         Todorov, citando Lévi-Strauss va anche oltre ed accomuna magia e scienza, i cui linguaggi hanno la stessa origine[68]. E Bonvecchio individua pure una "logica del simbolo"[69].

         Assunto che il simbolo sia peculiare alla natura umana, esso la libera dai limiti temporali e spaziali. E comunque è proprio nel terreno simbolico che è possibile affrontare il campo degli archetipi, dell'inconscio collettivo[70]. Inoltre è attraverso il simbolo che l'uomo può vedere se stesso dal punto di vista degli altri[71]. Ecco quindi che accanto all'uomo quale animal rationale, si deve accettare l'idea di far convivere una parte dell'uomo, l'animal symbolicum come lo chiama Cassirer[72], che appare necessaria e indispensabile ad una comprensione di noi stessi che sia il più possibile vicina alla completezza. Beninteso: solo vicina alla completezza, poiché essa è in realtà irraggiungibile[73]. Già in Mircea Eliade si coglie tale posizione[74]. E come abbiamo già visto anche nell'opera di Bateson, quando viene affrontato il problema della cultura nella realtà sociale non appare possibile non "connettere" metodo analitico con metodo emozionale[75].

         Eliade si avvicina anch'egli alle posizioni jungiane quando critica la riduzione al concreto delle immagini psichiche ad opera della psicoanalisi, definendo tale operazione senza senso[76], più avanti anzi ribadisce l'impossibilità di limitare un qualcosa che  naturalmente rappresenta una pluralità di significati[77].

         E l'uomo della modernità, seppure abbia assunto la razionalità e l'empirismo, il principio della non contraddizione a valore totale (di cui già abbiamo accennato prima), non ha "infranto le matrici della sua immaginazione"[78]. Ecco che l'uomo in questo modo ha nascosto a se stesso una parte di sé che non è possibile annullare, non si può rimuovere poiché sussiste da quando è nata l'umanità. Il tempo reale e storico di Kant mutila l'uomo di questa parte essenziale, fondante e fondamentale, in quanto da questa prospettiva il mondo reale non è più tale[79], rappresentato dal "tempo contratto"[80].

         Si spiega allora anche come il concetto di tempo abbia una funzione simbolica diversa presso società più o meno differenziate. In questo possiamo farci soccorrere dall'idea di "sintesi progressiva" eliasiana[81] in cui si cerca di spiegarla con il concetto di tempo[82].

         In definitiva i simboli magici e religiosi hanno lo scopo di "imbrigliare" l'archetipo che altrimenti si ripeterebbe all'infinito.

         Riassumendo, la "funzione di un simbolo è proprio quella di rivelare una realtà totale, inaccessibile agli altri mezzi di conoscenza"[83], nel simbolo i livelli materiale e spirituale risultano complementari; il simbolo non disconosce il valore concreto di qualcosa, bensì "aggiunge un valore nuovo ad un oggetto o ad un'azione (...). Il pensiero simbolico fa 'scoppiare' la realtà immediata, senza però sminuirla né svalutarla"[84]. Si tratta, come troviamo in Bonvecchio di "accettare l'esistenza di una specifica razionalità mitica accanto - e non in opposizione o in alternativa - a quella scientifica. (...) i due modelli di razionalità - scientifica e mitica - non solo possono convivere, ma si possono integrare e sovrapporre[85]".

         Sin qui abbiamo cercato di chiarificare e circoscrivere il concetto di simbolo e abbiamo accertato che non è cosa semplice. Diversi sono i livelli di analisi, molteplici le prospettive. Abbiamo anche visto che non si parla di una teoria dei simboli, bensì di 'teorie', che tra l'altro sono da ritenersi tutte ancora passibili si sviluppi ulteriori.

         Riteniamo però che le prospettive psicoanalitica e storico-religiosa siano le più idonee per affrontare il "simbolo" nel campo "politico" e in rapporto al "potere". E' però necessario approfondire specificatamente il "simbolo politico"; ci soccorrerà a questo scopo il punto di vista riscontrabile nel testo di Murray Edelman[86], che cerca di affrontare in modo organico il fenomeno, analizzando dalla prospettiva simbolica i processi dei sistemi politici e le strutture di autorità.

         Il concetto si simbolo nelle scienze sociologiche può assumere due caratteristiche: una connotazione "debole" quando viene logicamente legato ed assorbito da altri concetti (come quello di cultura in Parsons); il concetto viene considerato "forte" quando viene inteso in maniera autonoma, indipendente, insostituibile[87].

         Nella scienza politica si affrontano due livelli di interessi: quelli che possiamo definire materiali, in contrapposizione a quelli che si possono far riferire all'ambito non materiale. Nei primi si trovano gli interessi economici e di collocazione e ricollocazione di beni e risorse. Nel secondo ambito, che possiamo sicuramente definire 'simbolico', trovano posto gli interessi rappresentativi di comportamenti ai quali si riferiscono sentimenti, credenze, valori, modi di essere.

         A sua volta il simbolo nell'uso politico, può assumere due diverse prospettive: una volta ad ottenere il consenso, il sostegno al potere il quale utilizza i rituali politici per alimentare il senso di appartenenza allo Stato, per sottolineare e radicare nell'individuo l'identità storica e culturale del sistema politico. L'altra assume i simboli come argomento di lotta per il potere[88]. In tale contesto è d'obbligo citare un classico come Harold D. Lasswell che in Potere e Società ha affrontato in modo articolato il rapporto tra simbolo, potere, valori e gruppi.

         Per questo autore i simboli sono tutto ciò che ha un qualche significato o senso, distinguendo tra simboli linguistici e non linguistici, affidando a questi ultimi (bandiere, emblemi, monumenti) particolare importanza nell'arena politica[89], tanto da ritenere indispensabile l'utilizzo di "tecniche dell'analisi dei simboli" in tale contesto[90]  anche perché per Lasswell "i simboli sono tra le prospettive e gli strumenti del potere"[91].   E' proprio al significato polivalente dei simboli che le élites di potere fanno fede, manipolando il significato del simbolo in modo da rendere il più possibile ambiguo il confine tra senso diretto, manifesto e senso latente. E poiché chi ha il potere sa di averlo, il solo modo per mantenerlo è quello di giustificarlo e renderlo accettabile richiamandosi a principi condiscesi dal gruppo sociale esteso. Così le aspettative ed i valori di una filosofia politica vengono trasferiti in maniera ambigua in teoria politica al fine ultimo di costituire una dottrina politica che venga acquiescesa dalla massa[92].

         Tale rapporto diventa concreto attraverso le funzioni svolte dalle istituzioni con le attività che vengono sostanzialmente viste come riti[93] attraverso i quali il potere amministrativo governa i cittadini. Non sarebbe possibile però questa funzione di legittimazione simbolica senza tener conto della fondamentale fonte simbolica rappresentata dalla legislazione e dalla sua "inefficacia fattuale"[94]. La funzione simbolica del diritto si evidenzia nella sua limitata effettività. Il tanto proclamato principio della "certezza del diritto" è in realtà superato dal principio dell'interpretazione giudiziale, nel calare l'astrattezza del disposto normativo al caso concreto; in tal senso ne sono prova le molteplici sentenze emesse ai vari livelli di giudizio, tra loro contraddittorie nell'affrontare un medesimo quesito giurisdizionale[95].  In tal modo anche il sistema amministrativo, può, in certi contesti e talvolta, essere considerato, in quanto strumento, mezzo funzionale dell'interpretazione, medium (nel senso McLuhaniano del termine) tra élite e massa, che funge da dispositivo per la rassicurazione, la stereotipizzazione, in definitiva per la "legittimazione simbolica di allocazioni diseguali"[96], ove un "gruppo attivo" al fine di tutelare i propri interessi materiali, economici, sfrutta il bisogno di soddisfazione simbolica di gruppi passivi, al fine di ottenere consenso[97].

         Si tratta di un'opera di mistificazione attuata dalla politica. Sarebbe però veramente beffardo, negare questa realtà. L'uomo non può vivere privo di un orizzonte di senso, se questo accade si ripete la tragica storia, il buio della follia umana.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo

 

III

 

IL POTERE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

          Appena il concetto di potere affiora alla mente, immediatamente  automaticamente, inconsciamente, si elaborano connessioni con altri termini quali forza, violenza, dominio, coercizione; inoltre emergono due immagini contrapposte, l' antinomia di dominato e dominatore, il cui compimento è raggiunto nel potere di vita e di morte; momento in cui l'uomo può gustare il divino. Non va però dimenticato che vi è anche una definizione "creativa" del concetto in esame: "Potere significa capacità di fare; il contrario di potere non è libertà o anarchia, ma impotenza"[98].

         Secondo la tradizione mitico-simbolica giudaico-cristiana, sin dalla creazione del mondo il "potere" appartiene a Dio, l'uomo in quanto creatura è soltanto un "reggente"[99], non è il titolare del kratos, che rimane prerogativa del Creatore. Sin dalla genesi il potere fa parte del numinoso, sorge come archetipo necessario e fondamentale[100].

         Dopo questa doverosa premessa, possiamo affrontare l'analisi del

 concetto in esame da diversi punti di vista e da diversi livelli, chiarendo però sin dall'inizio che empiricamente il "potere" appare inafferrabile[101], nonostante la sterminata letteratura disponibile; e forse proprio questo smisurato interesse ne conferma il suo carattere trascendente (in senso kantiano)[102].

         E' pertanto d'obbligo distinguere preliminarmente il "potere" quale inclinazione psicologica dal "potere" come fenomeno sociale. Dal punto di vista sociologico il potere è definito come la capacità di un attore di modificare il comportamento di altri attori, è "potere dell'uomo sull'uomo"[103]. Bisogna altresì evidenziare che in tale contesto l'azione deve essere volontaria ed imputata non alla persona ma al "detentore del ruolo"[104]. Questa qualità che si riferisce al ruolo appare evidente proprio nel potere amministrativo per cui l'agente di polizia ha il potere in forza del suo ruolo che nasce dalla organizzazione del sistema Comunale ed in cui tale ruolo è inserito, poiché questo potere non gli verrebbe riconosciuto in quanto persona, in quanto Signor Rossi. Come pure non si deve dimenticare che il concetto stesso di "potere" viene considerato non "un" concetto ma "il" concetto fondamentale nelle scienze umane[105].

         Tra i classici ritroviamo l'analisi marxiana del potere che però viene ricondotta alla particolare visione dicotomica, conflittuale dei rapporti sociali. Però la realtà sociale si deve considerare, come acquisito dal punto di vista sistemico, come complessità nel continuum naturale in cui si risolvono i rapporti umani.

         Anche i sistemi nei quali si individua l'esercizio del potere, cioè la capacità di produrre effetti[106], vengono influenzati dalla complessità in cui tali sistemi inter-agiscono. Se vi è competizione, vi è anche cooperazione al funzionamento del sistema sovraordinato.[107]

         Sempre nell'ambito del potere empirico, oltre ad essere considerato una relazione tra attore soggetto ed attore oggetto, individui distinti, si deve rilevare anche l'area di attività, l'area di esercizio del potere[108]. In questo si trova la condizione necessaria al potere per esprimersi: il potere non è una cosa, un bene, è un rapporto, anche se alcuni autori ritengono che il potere sia l'una e  l'altra cosa e, in quanto risorsa, diventa mezzo per un fine[109]. Ma se il titolare del potere si trova in un deserto, da solo, oppure l'antagonista non è disposto a tenere il comportamento richiesto dal "potente", il suo potere non esiste[110]. Secondo Bobbio[111] dal punto di vista della filosofia politica, si possono individuare tre categorie attinenti il potere.

         Appare comunque acquisita la concezione che il fenomeno del potere, sia tra i "fenomeni più generali"[112], "si esercita dappertutto"[113].

         Un'analisi concettuale del potere che sia il più esaustiva possibile, non si può compiere senza effettuare una breve ma necessaria analisi di alcuni concetti intimamente correlati.

         Uno di essi è la violenza. Termine di cui manca però una ricerca analitica e teorica, se si escludono l'opera di Hannah Arendt[114] e quella di Georges Sorel[115]. Una "giustificazione" che attiene a questa dimenticanza accademica, cerca di darla Mario Stoppino[116]. Tale rimozione è così ben radicata socialmente che la violenza è persino considerata estranea alla società politica, gli si affida una "funzione marginale"[117]. Una conferma di tale visione può essere rilevata dall'atteggiamento assunto dalle maggioranza delle autorità governative internazionali e da quello dell'opinione pubblica rispetto all'intervento Nato nella Repubblica Jugoslava, teso a minimizzare la violenza ad un artificio tecnologico al servizio della politica e, qualora rilevasse degli errori, si tratta solo di "effetti collaterali".

         Un ulteriore concetto che viene messo in relazione con il potere è quello di "autorità" che spesso viene usato come sinonimo di potere;  per alcuni autori il potere assume il significato specifico dell'autorità[118]. Il nucleo centrale di questa, è che il soggetto in subordine "obbedisca al comando indipendentemente da qualsiasi valutazione del suo contenuto."[119]

         Qui soltanto brevi cenni relativi ai concetti sino ad ora citati, per un approfondimento di tipo empirico si rimanda al già citato testo di Mario Stoppino. Si ritiene però di evidenziare che pure nell'ambito di una ricerca a carattere empirico, il confronto con il potere, che sia ideologico, economico o politico, rende necessario, prima o poi, l'affrontare il primo: il "potere simbolico"[120]. In una classificazione formale del potere, secondo Stoppino, si incontrano due modalità del rapporto di potere: una aperta ed una nascosta; in quest'ultima classe definita generale, esso si esplica attraverso la manipolazione[121].

         Se dalla classificazione formale ci spostiamo alla classificazione sostantiva[122], quando il potere si alimenta con risorse attinenti la sfera etico-sociale, delle credenze, viene utilizzato per creare valori. La particolarità del potere politico è quella di "non poter essere ricondotto senza residui all'uno o all'altro dei nostri tre tipi di poteri sostantivi"[123]. In tale prospettiva anche le affermazioni di Norberto Bobbio che, dopo aver percorso l'itinerario storico-filosofico del potere sino alla modernità, definisce le "tre forme del potere"[124].

         A questo punto dovremmo fare un passo indietro e riconoscere quanto affermato all'inizio del capitolo: il potere è inafferrabile; ammette lo stesso Stoppino: "tale analisi è stata svolta, necessariamente, a un grado elevato di astrazione, perché la nozione di potere - considerata in generale -non permette un orientamento verso un contesto di comportamenti specifico"[125] e anche Rush afferma: "vista la mancanza di una definizione condivisa di potere non ci si possono aspettare risposte categoriche"[126].

         Tale percorso, pur considerato proficuo e corretto, ci conduce inevitabilmente all'affermazione che "il POTERE non è, per sua natura, definibile"[127]. Eppure il potere è intimamente legato alla nostra stessa vita, diventa ontologico, quasi sino all'estremo, come nel paradigmatico esempio rappresentato dalla nevrosi del giudice Schreber[128].

        

 

 

         La tripartizione del potere sopra esposta si ritrova in Chiodi[129] che nella sua analisi afferma che non è possibile una rappresentazione del potere nel sistema che non sia attraverso la forza, l'immaginazione, l'organizzazione. La simbologia propria del potere è la raffigurazione della forza e dell'ideologico, la spada e il consenso a cui va sostanzialmente aggiunto il diritto.

         Si deve comunque sottolineare che il potere, come fenomeno sistemico, è unico; sedi e soggetti diversi in cui vi è manifestazione del potere, non "esclude l'unicità e l'unitarietà del potere"[130].

          Ma se il potere è inafferrabile, "metafisico" come afferma il Chiodi, è necessario chiarire che il "criterio elettorale è [solo] una delle possibili ideologie del potere"[131]. Tale indefinibilità del potere è data proprio da quella che Chiodi chiama la sua "struttura elementare". Politico ed ideologico si compenetrano in un rapporto circolare, osmotico che non riesce ad esaurirsi[132].

         Il potere, nella sua finzione ideologica, si adatta a qualsiasi soggetto (allo stato-nazione, al re-filosofo, alla classe operaia, e così via), ma è in questa forma che serve da collante sociale. Allora non si deve dimenticare che la funzione ideologica è propriamente: finzione, e utilizza elementi simbolici, un qualcosa che sta per qualcosa d'altro, dal significato plurimo. Il detentore del potere comunica al dominato una conoscenza manipolata[133].

E proprio la conoscenza è un indicatore del potere: il sistema informativo di una forza di polizia contribuisce a conferire al detentore del ruolo l'autorità, il potere dato dall'accesso alle informazioni di ogni persona.

         Successivamente Chiodi affronta l'analisi del diritto, inteso come norma, come diritto positivo,  al quale,  nella struttura del potere, assegna uno "spazio strumentale di controllo". Tale funzione è particolarmente importante in relazione alla nostra ricerca perché vengono formulate due funzioni sistemiche fondamentali: "la composizione dei conflitti, in atto o potenziali, e l'organizzazione della produzione-riproduzione degli apparati istituzionali"[134].

         Sempre sul piano empirico vi è chi rileva, come abbiamo già visto, più poteri[135] , oppure chi, dal punto di vista della giurisdizione, affrontando la questione sincronicamente, ritiene di registrare lo "sviluppo del Biopotere"[136]. Così Claudio Risè che commentando Michel Foucault[137], ritiene che comunque il potere giurisdizionale, o quello tecnico-culturale del medico è pur sempre un potere derivato, sottosistemico; lo sviluppo del biopotere consiste nello sviluppo concreto ma anche "culturale" del potere che da controllo sul corpo dell'individuo, per il quale decideva della vita o della morte, l'ambito di competenza si è lentamente trasferito al controllo sull'anima.

         Abbiamo quindi potuto constatare la complessità dell'approccio all'analisi del concetto di potere. Empiricamente le soluzioni sono diverse, tutte corrette se considerate dai relativi approcci.

         Una sintesi illuminante ci soccorre con l'incipit citato da Giuliana Parotto nel suo contributo al testo appena citato:

            "Gli disse allora Pilato:  'Non mi parli?  Non sai che ho il potere di  metterti

            in libertà e il potere di metterti in croce?'.  Rispose  Gesù:  'Tu non  avresti

            nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto." (Gv. 19.10-11)

Riappare in questo contesto il potere inafferrabile, il potere archetipico per cui "in questa inevitabilità si delinea un'immagine del potere soverchiante tanto la vittima quanto il carnefice che pare espropriato del potere dal potere stesso"[138]. Il potere in questo contesto si riappropria di tutta la sua ambivalenza di bene e male, riacquista la sua trascendenza si esprime nella sua forma originaria, archetipica.

 

 

 


 

 

 

Capitolo

 

IV

 

 

L'AMMINISTRAZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

                   L'amministrazione come attività,  come organizzazione di mezzi e persone per raggiungere un determinato scopo, è oggetto di studio ed analisi in diversi campi. Notevole è la letteratura relativa la teoria dell'organizzazione; campo specifico del diritto pubblico è il diritto amministrativo; ancora nel campo del diritto costituzionale è possibile imbattersi nell'analisi comparata delle amministrazioni pubbliche; in ambito privato pure risulta molto sviluppato lo studio per definire la tecnica della "buona amministrazione" nell'ambito della sociologia dell'organizzazione. Di tale teoria si trova letteratura pure nel campo della scienza della politica dalla quale discende poi la "scienza dell'amministrazione" cui attiene lo studio teorico degli enti pubblici.

         Storicamente la scienza dell'amministrazione Europea compare tra sei e settecento. Sorge al fine di permettere alla corona di amministrare nel modo migliore e più proficuo le relazioni estere, le entrate e garantire l'ordine interno. Con la formazione degli stati nazionali si raffinano e specializzano le peculiarità dell'apparato militare e fiscale con lo scopo di esautorare la nobiltà ed i ceti privilegiati dalla gestione delle entrate.

         Per completezza solo un cenno sulla fondamentale differenza storica, strutturale e funzionale  tra "burocrazie" classiche (quelle europee continentali) e le "burocrazie" anglosassoni che per il fatto di non aver sperimentato il fenomeno dell'assolutismo, si sono sviluppate autonomamente e peculiarmente. In particolare la scienza amministrativa americana si sviluppò alla fine dell'ottocento a seguito di gravi fenomeni di corruzione.

         Già da queste premesse storiche possiamo collegare il termine "amministrazione", nel senso che a noi interessa, con il termine "potere". Nelle costituzioni ottocentesche l'organizzazione burocratica veniva considerata completamente connessa all'organo di governo da cui dipendeva ed in cui si inseriva senza garanzie costituzionali di imparzialità e funzione. Tale concezione raggiungeva il suo culmine in Prussia  ove l'amministrazione era il verso sovrano della nazione e l'amministrazione era per definizione politica. 

         Ambito pubblico ed ambito privato in comune hanno lo scopo di avere delle soluzioni tecniche che permettano di "organizzare" uomini e mezzi per il raggiungimento di uno scopo (che può essere quello di ricavare un utile, oppure quello di gestire un servizio pubblico)[139].

         Il nostro interesse naturalmente riguarda i gruppi e le organizzazioni pubbliche, le "istituzioni"  intese come ciò che è stato istituito, organo od ente, per un determinato fine, che quale sottosistema del più generale sistema politico che lo ha fondato, ne gestisce legittimamente la quota di potere. Anche se la distinzione tra amministrazione "pubblica" e quella "privata" tende sempre più a confondersi[140].

         Già in queste poche righe ci siamo imbattuti in diversi termini quali: amministrazione, burocrazia, organizzazione, istituzione. Nella definizione letterale del termine troviamo i termini di attività (gestione legittima), di governo (considerato pure come sinonimo), di organo.

         Ecco quindi che "amministrazione" può essere concepita dal punto di vista soggettivo, quindi come organizzazione di uomini e mezzi attraverso cui si esplicano le attività amministrative, l'ambito dei poteri dello stato detto stato-apparato, la struttura organizzatoria. Oppure dal punto di vista oggettivo come funzione amministrativa con la quale si esplica l'esercizio del potere amministrativo. Naturalmente organizzazione e funzione, sono complementari, l'uno determina l'altro[141].

         Weber con il termine "burocrazia" intende il tipo ideale in cui comprendere tutte le amministrazioni, pubbliche e private. Il fenomeno amministrativo è in ogni caso un oggetto di studio in continua evoluzione; lo stesso sviluppo delle amministrazioni viene acquisito come un elemento dato e le problematiche di organizzazione, controllo e gestione sono sempre più complessi.

           Come abbiamo già  detto il confine tra pubblico e privato tende a scomparire e i rapporti interni ed esterni assumono tale complessità che richiedono la formazione di figure quali l'ombudsman, il difensore civico, che protegga l'individuo dalle disfunzioni di un'amministrazione sempre più complicata.

                   Un ulteriore quesito è posto dall'economista J.K. Galbraith[142] per cui i sottosistemi sociali  sono subordinati all'apparato amministrativo statale (tecnostruttura degli stati industriali moderni). Tale indirizzo di funzionamento del sottosistema economico viene disposto dalle politiche monetarie e fiscali messe in atto dalla pubblica amministrazione con le decisioni politiche prima e con la loro applicazione poi. Questa tecnicizzazione rende non più adeguata la distinzione tra decisione politica e funzione amministrativa (esecuzione) poiché la politica (come decisione) fiscale e monetaria incide direttamente nei rapporti di produzione. Tale crescita dell'intervento statale ha causato mutamenti sia qualitativi che quantitativi. Soprattutto l'espansione del pubblico impiego.

         A questo punto sorge la questione della possibilità di conciliare la democrazia con l'amministrazione pubblica[143]. Questione che in definitiva è possibile cogliere quest'oggi nel dibattito politico italiano tra forze di governo ed opposizione che altro non è che la già nota questione (oggi con maggiori e nuove differenze e problematiche) tra liberalismo e Welfare State.

         Per quanto attiene ad un esauriente teoria dell'amministrazione, solo con l'analisi sistemica si è iniziato ad affrontare la questione della sua complessità ponendo l'oggetto di studio nell'ambito di un insieme integrato di parti interagenti, i cui rapporti sono considerati come reti di organizzazione, comunicazione, informazione. Se l'amministrazione ha uno scambio, un'interazione con l'ambiente esterno, va considerata come sistema aperto; altrimenti è reputata un sistema chiuso. Tale prospettiva permette quindi di considerare il sistema amministrativo anche come sottosistema; fornendo pure una considerazione sul perché un'azione amministrativa incida marginalmente sul funzionamento generale del più ampio sistema sociale e viceversa. Come in Galbraith, anche la teoria sistemica non utilizza più la classica distinzione tra politica ed amministrazione.

         L'azione amministrativa viene allora investita di una autonomia relativa. Naturalmente l'amministrazione rimane sempre legata al potere, ma non più come mero "braccio esecutivo" dello stesso, avendo a disposizione un arco di possibilità la cui scelta sarà valutata in base al contesto nel quale dovrà operare, sebbene in gran parte della letteratura giuridica si effettua una netta distinzione tra attività politica la quale non è sottoponibile a sindacato giurisdizionale ed attività amministrativa che , al contrario, non è libera nel fine ed è vincolata nelle forme[144].

         Non è però possibile scindere il rapporto tra amministrazione e potere[145];  è pertanto doveroso fare un cenno all'analisi dell'istituzione proposta da Franco Basaglia[146] per il quale in essa si esplicita una divisione dei ruoli netta tra dominatore e dominato espressa nelle relazioni di violenza ed oppressione. Non essendo possibile negare i ruoli (medico-paziente, insegnante-allievo, dirigente-impiegato) l'alternativa rimane nella adesione e nella partecipazione all'autorità. Ciò presupporrebbe da parte dell'amministrazione rendere conoscibili i fini e le modalità di regolazione sociale, nonché rendere partecipanti i gruppi sociali a tali scelte, senza privare la classe politica delle responsabilità e scelte ultime che vanno comunque effettuate in base a criteri valoriali ed etiche di gruppo. Nella realtà la partecipazione amministrativa non risulta essere una pratica acquisita, e se partecipazione c'é, la si utilizza per confermare decisioni già prese.

         Anche nello sviluppo storico che porta allo stato di diritto e quindi dal punto di vista giuridico, l'atto amministrativo va improntato a criteri di ragionevolezza, proporzionalità , logicità e corrispondenza tra l'interesse concreto e quello perseguito dalla legge.

         Sempre dal punto di vista giuridico, il principio del procedimento è stato quello che ha permesso di integrare i limiti della legge con la discrezionalità; cioè di integrare l'incapacità della legge di risolvere preventivamente, generalmente ed  astrattamente i diversi conflitti di interesse. Discrezionalità che comunque prevede la partecipazione degli attori e l'obbligo di dar conto delle valutazioni per mezzo della valorizzazione e tipicizzazione del procedimento.

         E' però proprio il concetto di "discrezionalità" che qualifica l'attività amministrativa come l'agire secondo il modulo del potere, seppure vincolato nel fine, che è quello di perseguire comunque l'interesse pubblico[147]. Ecco quindi che ritorna l'indissolubilità del rapporto tra amministrazione e potere, tanto che in giurisprudenza un vizio tipico considerato e quello della "carenza di potere".

         Vi è dunque questa ambiguità del potere nella istituzione, da un lato si applica il principio della imperatività dell'atto amministrativo, ma non gli si riconosce l'auctoritas, concedendo al titolare di un interesse legittimo un "contropotere", il potere di reazione per ottenere l'eliminazione giuridica dell'atto contrario alla legge.

         La già citata relazione tra potere ed amministrazione può soccorrere l'analisi delle elites burocratiche dei paesi occidentali nei quali è stato accertato che "l'alta burocrazia proviene dalle classi medie e medio-alte ed è inoltre sempre molto elevato il tasso di auto-reclutamento", mentre "Status, coscienza di ceto (...) non sembrano dipendere tanto dalla provenienza sociale dei burocrati quanto invece da fattori organizzativi, in specie dalle modalità di reclutamento e di socializzazione alla professione e dai patterns di carriera"[148]. E' tendenzialmente un sistema  chiuso in entrata.

         Come abbiamo accennato prima, la separazione tra politica ed amministrazione fa parte del sistema democratico e, soprattutto nelle discipline di carattere giuridico, posto come principio caratteristico. Eppure la "distinzione fra politica ed amministrazione non ha tuttavia retto alle analisi empiriche sul funzionamento delle strutture burocratiche pubbliche"[149]. Anzi è proprio sulla discrezionalità che la scienza della politica pone l'accento considerandola un "potere decisionale autonomo" contrastando con la "neutralità politica". Anzi , nella prospettiva della politica burocratica, i processi decisionali sono prodotti da interazioni complesse i cui attori sono funzionari pubblici, politici, dirigenti di partito,gruppi di pressione, ecc.) rendendo così possibile la "burocratizzazione dei processi politici e, contemporaneamente, ...la politicizzazione dei processi burocratici"[150].

         Secondo H.D. Lasswell[151] e Kaplan le funzioni di potere non sono altro che il perseguimento degli scopi con le pratiche politiche e le istituzioni sono "modelli integrati di pratiche". Inoltre gli stessi autori considerano inserita nel processo decisionale anche la funzione amministrativa al pari di quella legislativa; affermando anzi l'invalidità dell'affermazione di Goodnow il quale tendeva ad una sostanziale divisione tra politica ed amministrazione[152].

         Lasswell e Kaplan analizzano anche il concetto di 'burocrazia' definendola "una gerarchia altamente differenziata, dotata di considerevole potere e caratterizzata da un basso grado di circolazione"[153] e nel suo rapporto con il potere, gerarchia, gruppi di potere e burocrazia risultano lessicograficamente correlate[154] anche se l'autore tende a precisare che questo non significa l'automatica trasformazione dei gruppi di potere da gerarchie in burocrazie.

         Riprendendo il lavoro di Edelman[155], l'attività amministrativa diventa funzionale per l'esecuzione di atti politici che, se erogano beni e risorse contemporaneamente o in alternativa, producono  materiale simbolico al fine di ridurre le tensioni sociali.

         Approfondiremo questo aspetto nel prossimo capitolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Capitolo

    

 

V

 

 

UN'INDAGINE POSSIBILE?

 

 

 

 

 

 

         I "poteri centrali" necessariamente creano poteri delegati, locali; istituiscono le amministrazioni alle quali affidano una quota di potere. La legge sulla depenalizzazione (legge 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale)[156], rappresenta un esempio di come l'overload[157] delle domande a cui il sistema non riesce a dare risposta, obblighi lo stesso sistema a creare riferimenti simbolici che in nome di una maggiore libertà e di una celere procedura che attenga alla struttura dei rapporti comportamento/sanzione, vanno a coprire il suo deficit d'intervento; in tal modo la struttura amministrativa deve intervenire con i propri mezzi autoritativi nel nuovo campo d'azione.

         Tra le funzioni dello stato, in quanto gestore delle risorse, vi è quella di distribuire utilità e minacce[158]; tale funzione, sia per la scarsità delle risorse, sia per il carattere intimidatorio della "paura della sanzione", deve necessariamente essere espressa in maniera simbolica, cioè ambivalente, al fine di dispensare alla massa ciò di cui essa ha bisogno in termini di credenza e di sicurezza, nel mentre deve allocare le risorse, scarse, a una minoranza (elite).  Con la predisposizione normativa viene concretizzata questa funzione. Edelman afferma che proprio quando la legge si basa su principi generali, ed attraverso la propaganda le si affida il compito di tutela della universalità degli appartenenti al gruppo nazionale, è in questo momento che la si carica di maggior contenuto simbolico[159].

         Però se è la politica l'ambito in cui si sviluppa "il processo attraverso il quale le basi irrazionali della società vengono portate alla luce"[160], è con il suo "braccio esecutivo", con l'amministrazione che entra concretamente nell'arena sociale, per cui si dovrebbe riconoscere la "rilevanza di questo schema nell'analisi della formulazione delle decisioni nel processo amministrativo"[161].

         Alcuni elementi riscontrati nel fenomeno della modernità[162] quali la fiducia, la dipendenza dai sistemi esperti, il rischio, l'istituzionalizzazione del dubbio, necessariamente creano nel palcoscenico della vita uno sfondo di indefinitezza, di insicurezza, di consapevolezza  che il futuro non rientra nella propria capacità gestionale. In questa situazione l'individuo tende ad agire per mezzo di semplificazioni e stereotipi, ed è portato  ad accettare la rappresentazione in forma simbolica della realtà. Quando questo fenomeno diventa pervasivo e persistente, si ritiene assuma rilevanza politica[163], mentre "la retorica politica [è] preghiera secolarizzata"[164]. Il suo scopo è quello di "attivare interessi già socialmente radicati" in un preciso contesto sociale.

         Quando l'attività amministrativa viene propagandata come una attività intensa, esprime lo scopo di rassicurare il pubblico di offrire un "senso di protezione nei 'regolamentati'". In realtà i casi nazionali delle inveterate "commissioni stragi", oppure la rilevanza data ad interventi sporadici di attività repressiva di polizia stradale che però non risolvono i problemi della circolazione, sono soltanto fenomeni concreti  per diffondere e comunicare soddisfazioni simboliche[165].

         La funzione amministrativa, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, svolge una importante funzione quale sottosistema o, come indicato da Galbraith, quale tecnostruttura: regolamentare i rapporti sociali, politici ed economici locali attraverso la gestione delle azioni nell'ambito di competenza.

         Secondo Edelman la "regola fondamentale" nel sistema amministrativo implica la definizione dei ruoli degli attori che si forma attraverso l'interazione simbolica[166]. Da questo punto di vista la legge può essere simbolicamente interpretata o come un gioco, con le sue regole e per cui, nell'esempio della regolamentazione stradale i trasgressori accettano il rischio di essere occasionalmente multati e le forze di polizia sanno che la maggior parte dei trasgressori non saranno scoperti; oppure la legge viene interpretata come un dogma per cui la sua trasgressione diventa eresia.

         Nel sistema italiano, come negli altri sistemi democratici europei ed anglosassoni, nonostante le differenze storiche che hanno costituito il potere amministrativo, la tendenza è proprio quella di concepire il potere amministrativo come una condivisione di ruoli che per mezzo del significato simbolico ambiguo del linguaggio giuridico, permetta "la continuazione del gioco, [e] impedisce l'applicazione rigorosa della legge"[167].  A conferma di quanto affermato si possono citare le recenti leggi relative i rifiuti, quelle sulla sicurezza nei posti di lavoro, quelle che regolamentano il lavoro nell'edilizia, quella relativa l'inquinamento delle acque, che via via sono state "depenalizzate", e pertanto assumendo rilevanza amministrativa, sono state svuotate concretamente di una interpretazione dogmatica. In altre parole gli interessi economici e sociali in gioco, hanno attivato un meccanismo di revisione legale che in definitiva favorisce alcuni gruppi di potere economico, che, per mezzo delle rappresentanze di governo e la revisione delle norme nei campi citati ha modificato il significato valoriale della trasgressione. A tale scopo si sono utilizzati due diversi linguaggi[168]: il primo, quello di "propaganda" per cui il potere politico, sfruttando l'ambiguità simbolica del linguaggio politico[169], ha comunicato alla massa un messaggio rassicurante, attraverso categorie molto generali ed altamente simboliche, tendente a far credere che venivano affrontate compiutamente, le problematiche attinenti l'inquinamento e la protezione ambientale, la sicurezza individuale, la salvaguardia del lavoro. L'altro è il linguaggio giuridico che offrendo un'immagine rigorosa, "un insieme di regole incontestabili" in realtà "permettono implicitamente scappatoie"[170].

         Abbiamo quindi visto che ci vengono offerte due alternative nell'uso della legge: l' applicazione di un ordine indiscutibile, quindi come prova di forza, legge come dogma la cui trasgressione è eresia; oppure un valore condiviso, un principio generale su "cui poter giocare in modo flessibile", la cui applicazione avviene attraverso l'accettazione di regole che permettano lo scambio dei ruoli.

         La scelta del modo di applicazione implica il potere di compiere tale scelta; vi sono diversi casi in cui un agente di polizia interpreta il proprio ruolo. Edelman porta l'esempio dell'agente Muller di Chicago[171]; ma l'interpretazione dogmatica della norma in campo amministrativo non giova né al potere supremo, né alle elites, né alla massa. Difatti l'agente Muller venne trasferito. Casi analoghi si verificano anche a Trieste.

         L'utilizzo della interpretazione dogmatica si applica nei casi di crisi del potere, nei casi in cui un atteggiamento viene considerato come un attentato ai principi generali; in questa prospettiva è possibile comprendere la distinzione tra "sanzione amministrativa" e "sanzione penale", la prima non incide sulla legittimità e titolarità del potere né crea pericolo ai principi generali, tale trasgressione non implica l'uso della violenza; nel caso della trasgressione penale invece vengono messi in discussione principi generali; caso estremo è la riapparizione in Italia del fenomeno terroristico che ha immediatamente dato luogo alla riappropriazione simbolica di linguaggi giornalistici e politici, nonché di riti tendenti ad una riaggregazione dogmatica di massa contro l'eresia brigatista. Tale interpretazione assolutamente non consente alcuna ambivalenza, né alcuna assunzione di ruoli, anzi deve necessariamente creare una frattura valoriale  e psicologica irreparabile, la creazione del noi vs. loro, dell'in-group vs. l'out-group, del bene vs. il male.

         Secondo Edelman l'ambivalenza della politica deriva dagli inevitabili conflitti tra gruppi e rappresenta l'assunzione simultanea di ruoli incompatibili. Questa situazione comportamentale viene assunta anche normativamente, per cui a fronte di una legge definita, corrispondono una serie di "penalità e ricompense" che siano sopportabili oltre a manipolazioni tese a favorire un gruppo rispetto l'altro[172].

         Tale "assunzione di ruoli" assume un significato paradigmatico nel caso trattato da Daniele Ungaro in "La corruzione ambientale. Studio di un caso"[173] dall'autore definito proprio come corruzione ambientale. In esso si ritrovano: la reciproca assunzione di ruoli[174] che possiamo  riconoscere in quella locuzione finale specificata da Ungaro con il termine "scambisti"[175]; l'allocazione diversificata di risorse, che è diventata la causa principale dei costi collettivi di esclusione i quali alla fine, diventando troppo onerosi per la collettività invocando l'intervento della magistratura[176]; la funzione simbolica che tradita dai politici locali ha provocato l'inversione della scena d'azione[177].

         Anche nel caso italiano l'amministrazione ha potuto determinare"per i gruppi non organizzati un cambiamento di ruolo da quello di vittime potenziali a quello di 'protetti'; essi vengono rassicurati nel nuovo ruolo dalla pretesa compartecipazione ai benefici economici e dalla grande profusione di simboli"[178]

         In definitiva il sistema amministrativo appare come un rituale dalle funzioni simboliche allo scopo di legittimare i benefici dell'elite e nello stesso tempo offrire sicurezza di fronte alle minacce. Edelman ritiene che tale aspetto sia fondato su precise dinamiche psicologiche[179]. Un esempio concreto di come l'assunzione di ruoli e la funzione simbolica diventano strumenti dell'acquiescenza degli effetti dell'azione amministrativa, si può evidenziare in tutti quei riti generalmente di carattere sindacale che immancabilmente portano ad accettare condizioni salariali o politiche dei prezzi che alla fin fine si risolvono in benefici esigui se non irrilevanti[180].

         Un elemento essenziale, primario che attiene alla scena politica e strettamente legato alla funzione simbolica è il contesto politico che è, per sua natura, artificiale[181] poiché deve rappresentare una realtà eroica. In definitiva anche nella piccola municipalità sono presenti questi elementi. Il centro, è il luogo dove sono collocati i palazzi governativi che rappresentano i santuari laici del potere. I loro accessi non sono mai incontrollati e in ogni caso gli uffici "chiusi al pubblico" sono tanti. La partecipazione democratica si limita al rito delle elezioni: la partecipazione alle riunioni del "Consiglio" sono sempre definiti da rigide regole comportamentali, o più precisamente, rituali, al cui controllo sono preposte le forze della polizia municipale agli ordini del "Presidente".

         Questo contesto indica, come afferma Edelman "in che misura il pubblico venga proiettato in un universo artificiale, in un'apparenza allontanandolo dall'ambiente concreto[182]. Il rapporto di coerenza tra atto politico e contesto è così ben "progettato" che difficilmente il pubblico si accorge della sua portata.

         Nella nostra concezione di stato liberale-democratico, uno dei principi simbolici di maggior rilevanza è quello della "partecipazione democratica", il cittadino viene investito di una quantità notevole di "diritti" attinenti la sua capacità di controllare gli itinerari amministrativi in cui è attore. Tale finzione viene pure specificata da Edelman nel suo testo qui in esame.

         Affrontando gli studi di Goffmann, Joshua Meyrovitz[183] indaga su come i media hanno modificato in termini sociologici la metafora teatrale dei rapporti tra massa e potenti; questo rapporto è affrontato anche da Edelman che arriva alla conclusione per cui: "nonostante l'immagine televisiva raggiunga la gente sino a casa propria, il Presidente è lontano, racchiuso in una cornice"; in definitiva si è creato un'apparenza di rapporto diretto. Effettivamente e concretamente il progressivo avvicinamento tra governo e governati, precisamente ed in forza della sua apparenza, è il suo esatto contrario rappresentato da una mistificazione che crea un contesto artificiale che necessariamente tende a condizionare il pubblico.

         E' proprio il concetto di contesto (la cui complessità sarebbe interessante approfondire) che diventa importante. Esso è, secondo Edelman, qualcosa di più di un luogo fisico[184]. Il modello simbolico per eccellenza preposto a costruire un contesto generale che si svilupperà successivamente è rappresentato dalla carta costituzionale che si basa su principi generalissimi.

         Un altro modello dalla funzione simbolica ed operante in un contesto in senso edelmaniano è rappresentato dalla interpretazione giurisidizionale che può essere considerata il ponte unificante della frattura tra caso concreto ed astrazione normativa. Ed è proprio l'aula giudiziaria in cui si esprime con forza e ricchezza simbolica il rapporto tra scena ed atto.

         In questo modo il sistema politico "istituzionalizza in modo sistematico le rassicurazioni simboliche dando loro la forma di garanzie costituzionali e legislative e creando organizzazioni amministrative"[185].

         I poteri (in senso empirico) dello stato in definitiva mistificano la realtà. Sono le condizioni stesse della modernità, la necessità ontologica che ognuno di noi  porta in se stesso di riferimenti simbolici che rendono necessaria la appropriazione da parte dei poteri della dimensione mistificante. Forse proprio in questo momento si sente ancora più forte questo bisogno di sicurezza. I tragici avvenimenti che sconvolgono paesi a noi vicini confermano la necessità della mistificazione, è però necessario esserne consapevoli, partecipando al grande giuoco della condivisione dei ruoli, al fine di evitare che si venga sopraffatti dal dogma. L'eresia si combatte con la violenza estrema, con la pulizia etnica. E' questo il momento in cui si rifanno i confini[186] e si inventano stati regionali improbabili.

         L'uomo tende, in forza della sua razionalità illuministica e della eredità filosofica classica, a "pensare" per opposti che poi troverà compimento nella filosofia dialettica hegeliana. L'idea più problematica e conflittuale è la contrapposizione tra razionalità e irrazionalità. Da essa si possono derivare quelle di profano e religioso, utopia e realismo.

         Il sistema politico vuole far credere di essere una risposta razionale alla gestione della complessità sociale. Ma proprio nella complessità troviamo il nucleo del problema. Giddens nelle sue considerazioni finali sulla modernità, indica una probabile rinascita della religione[187]. I valori razionali della politica sono mistificanti, con lo scopo   di allocare risorse in favore di gruppi determinati, esso inoltre costruisce il consenso attraverso la manipolazione ideologica dell'informazione come abbiamo ben sentito dai comunicati ufficiali sulla guerra in Yugoslavia.

         Sarebbe però auspicabile creare una reale partecipazione democratica, consapevole, rispettosa dell'autorità,  culturalmente capace di effettuare un continuo interscambio di ruoli,  riscoprendo necessariamente e preliminarmente i valori tradizionali che con la frattura tutta artificiale tra sacro e profano corriamo il pericolo di perdere definitivamente.


 

    [1] Giddens A., The Consequences of Modernity, Cambridge, Polity Press, 1990 (Trad. it.,Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994). Per riaggregazione l'autore intende "la riappropriazione o la rimodellazione di relazioni sociali disaggregate in modo da vincolarle (...) alle condizioni locali di spazio e tempo. Vorrei inoltre distinguere tra quelli che io chiamo impegni personali e impegni anonimi. I primi riguardano i rapporti di fiducia sostenuti o espressi in legami sociali istituiti in circostanze di compresenza. I secondi riguardano la fiducia investita in emblemi simbolici o nei sistemi esperti." [pag. 85].

    [2] Ivi. Dal punto di vista sociologico è quello che l'autore indica con il termine "riflessività"; per cui: "la riflessività della vita sociale moderna consiste nel fatto che le pratiche sociali vengono costantemente esaminate e riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti in merito a queste stesse pratiche, alterandone così il carattere in maniera sostanziale." [pag. 46].

    [3] Per la bibliografia che attiene al concetto di simbolo si rimanda al capitolo seguente, volendo qui soltanto ricordare il testo di Murray Edelman, Gli usi simbolici della politica,Guida, Napoli, 1987, considerato un "classico" della scienza politica che affronta l'ambito simbolico nella politica, quindi anche per quanto attiene i rapporti con il potere, e che rappresenta il testo su cui si è basata l'analisi di questa tesi.

    [4]  Per una bibliografia introduttiva vedi: Weber M., Economia e società, Comunità, Milano, 1968; Cassese S., Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, Bologna, 1983; Pasquino G., a cura di, Manuale di scienza della politica, Il Mulino, Bologna, 1986; Morbidelli G., Pegoraro L., Reposo A., Volpi M., Diritto costituzionale italiano e comparato, Monduzzi, Bologna, 1995; Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 1997. Per approfondimenti si rimanda ai cospicui riferimenti dei testi citati.

    [5] Tale precisazione si trova in: Izzo A., Storia del pensiero sociologico, Bologna, Il Mulino, 1991. [pagg. 182-183].

    [6] Moscovici S.,La fabbrica degli dei, Bologna, Il Mulino, 1991 "Il problema che preoccupa i sociologi, quindi, non è affatto, come si è sostenuto, l'ordine, che è un desiderio, ma la durata, che è una necessità. Molto presto sono giunti ad osservare che le nostre rappresentazioni, i nostri affetti e i nostri ideali costituiscono la parte indistruttibile di ogni vita collettiva: insomma, a infonderle energia e impedirle di indebolirsi e deperire sono appunto i fattori simbolici ed affettivi, i quali offrono un punto di riferimento labile, arcaico, forse, ma indispensabile ai legami che ci uniscono gli uni agli altri." [pag. 30-31].

    [7] Mead H. G., Mente, sé e società, Giunti, Firenze, 1966

    [8] Ivi.

    [9] Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, Comunità, Milano, 1963. In particolare il rapporto tra società e religione.

    [10] Moscovici S., op. cit. "In un certo senso, l'homo oeconomicus è di gran lunga troppo razionale nei metodi e resiste male all'erosione del tempo. La sociologia gli oppone un homo credens, un uomo credente. E' una creatura strana, certo, ma il nuovo è sempre strano e difficile da definire. Se ne conosce soltanto la formula generale: se l'elemento economico è l'ossigeno della sua esistenza in società, l'elemento ideologico o religioso ne è l'idrogeno." [pag. 31].

    [11] Izzo A., op. cit. [pag. 205].

     [12] Lasswell H.D. e Kaplan A., Potere e società, Bologna, il Mulino, 1997

     [13] Bobbio N., Saggi sulla scienza politica in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1996. In questa affermazione si sente l'influsso dell'analisi paretiana: "secondo cui sovente gli uomini si servono della loro ragione (esaltata dai metafisici come l'organo della verità) non per scoprire e comunicare la verità, ma per deformarla o nasconderla".  [pag.74].

     [14] Gli elitisti appartengono alla corrente culturale europea che annovera gli italiani Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels. Per Mosca la società è sempre, in definitiva, retta da una minoranza organizzata che domina una maggioranza disorganizzata;  per Pareto ogni attività umana, compresa la politica, viene gestita da una 'classe eletta' che non è una entità statica ma in continuo mutare; in Michels, che parte dall'idea weberiana della burocrazia, vi è la necessità e la inevitabilità di una minoranza aristocratica che organizzi la gestione del potere.

     [15] Giddens A., op. cit.

     [16] Ivi. "Abbiamo individuato tre fonti primarie e interdipendenti del dinamismo della modernità:

            La separazione del tempo e dello spazio. E' la condizione della illimitata distanziazione spazio-temporale, presupposto per una precisa suddivisione in zone temporali e spaziali.

            Lo sviluppo di meccanismi di disaggregazione. Questi meccanismi enucleano l'attività sociale dai contesti localizzati e riorganizzano i rapporti sociali su grandi distanze di spazio-tempo.

            L'appropriazione riflessiva del sapere. La produzione di un sapere sistematico intorno alla vita sociale diventa parte integrante della riproduzione del sistema, allontanando la vita sociale dall'immobilità della tradizione." [pag. 59].

     [17] Ivi. "Il sapere (che di norma va qui inteso come 'pretese di sapere') applicato riflessivamente all'attività sociale viene filtrato da quattro serie si fattori:

            Il potere differenziale.Alcuni individui o gruppi riescono più di altri ad acquisire un sapere specializzato. ..." [pag. 60].

     [18] Ivi. "Il sistema amministrativo dello stato capitalistico e in generale degli stati moderni va interpretato in base al controllo coordinato che esso acquisisce su aree territoriali delimitate. Come già ricordato, nessuno stato premoderno è mai riuscito anche solo ad avvicinarsi al livello di coordinamento amministrativo raggiunto dallo stato-nazione.

            Tale concentrazione amministrativa dipende a sua volta dallo sviluppo di capacità di sorveglianza ben superiori a quelle delle civiltà tradizionali; gli apparati di sorveglianza costituiscono una terza dimensione istituzionale associata, come il capitalismo e l'industrialismo, all'avvento della modernità. Per sorveglianza si intende la supervisione delle attività della popolazione nella sfera politica, benché la sua importanza come base del potere amministrativo non resti affatto confinata entro questa sfera. Tale supervisione può essere diretta (...), ma più spesso è indiretta e basata sul controllo dell'informazione." [pag. 65].

     [19] Edelman M., op. cit.  l'autore parla di "mistificazione della politica".

     [20] Chiodi G.M., La menzogna del potere, Giuffrè, Milano, 1979.

     [21] Dematteis G., Le metafore della terra, Feltrinelli, Milano, 1986

     [22] Ivi.

     [23] Chiodi G.M., op. cit.

     [24] Coccopalmerio D., Il diritto come diakonia, Giuffrè, Milano, 1993.

     [25] AA.VV., Enciclopedia Einaudi, Vol. 12, voce "Simbolo", Torino, 1981.

     [26] Todorov T., Teorie del simbolo, Milano, 1984. "Nel simbolo è lo stesso significato che è diventato significante, c'è una fusione delle due facce del segno" [pag. 269].

     [27] Morris C., Segni, linguaggio e comportamento, Longanesi, Milano, 1963.

     [28] Demarchi F. ed al. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, ed. Paoline, Milano, 1987.

     [29] Ivi.

     [30] Ivi

     [31] Ivi.

     [32] Lalande A. (a cura di), Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Presses Universitarires de France, Paris, 1926, (trad.it. ISEDI, Milano, 1971).

     [33] Douglas M., Natural Symbols, Penguin Books, Harmondsworth, 1973 (trad.it. Einaudi, Torino, 1979). Anche in Frye N., Symbols Public and Private, Allen and Unwin, London, 1973 (trad.it. Laterza, Bari, 1977).

     [34] AA.VV. op. cit. Vol. 12: "verrà identificata pertanto una serie di contesti in cui il termine simbolo va assunto in senso stretto quale allusione più o meno precisa a un uso dei segni secondo il modo simbolico". [pag. 881].

     [35] Un approccio semiotico, cioè dello studio dei segni in quanto usati come sistemi di comunicazione, si trova in Goux, Lévi-Strauss, Cassirer et al.

     [36] Cassirer E., Philosophie der symbolischen formen, I Die Sprache, Bruno Cassirer, Berlin, 1923, (trad.it. La nuova Italia, Firenze, 1961). "il simbolo non è un rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale [...] Così ogni pensiero veramente rigoroso ed esatto trova il suo punto fermo solo nella simbolica, nella semiotica, sulla quale esso poggia". [pag. 20].

     [37] Peirce Ch. S., Division of Triadic Relations, in Collected Papers, Harward, 1903 University Press, Cambridge Mass, 1931-58, vol. II. (trad.it. in Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva, Einaudi, Torino, 1980).

     [38] de Saussure F., Cours de linguistique générale, Lausanne-Paris (trad.it. Laterza, Bari, 1970).

     [39] Eco U., Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975. Nel procedimento di "ratio difficilis" l'espressione riproduce per mezzo dei segni alcune proprietà riconosciute al contenuto in base ad alcune regole di proiezione; e allora ogni manipolazione relativa l'espressione, implica trasformazioni di contenuto.

     [40] Todorov T., Teorie del simbolo, Milano, 1984. Per l'autore, in ogni discorso c'è una produzione indiretta di senso: "Un simbolizzante evoca più simbolizzati [...] perché ogni simbolizzato può a sua volta convertirsi in simbolizzante." e più avanti: "Ogni simbolizzante è a sua volta simbolizzato; la conversione si sviluppa in una catena che può durare indefinitivamente; e ogni nuovo simbolizzante acquisisce i simbolizzati dei processi simbolici anteriori". [pag. 307].

     [41] Ivi. In cui, nel contesto dell'opposizione romantica tra simbolo ed allegoria, citando A.W. Schlegel, Todorov afferma: "Si potrebbe dire senza esagerare che se si dovesse condensare l'estetica romantica in una sola parola, sarebbe proprio quella qui introdotta da A.W. Schlegel: simbolo. Tutta l'estetica romantica sarebbe allora, in definitiva, una teoria semiotica. Analogamente, per capire il senso moderno della parola 'simbolo', è necessario e sufficiente rileggere i testi romantici". [pag. 254].

     [42] AA.VV., op. cit, Vol. 12.

     [43] Ivi.

     [44] Manghi S. (a cura di), Attraverso Bateson, Ecologia della mente e relazioni sociali, Raffaello Cortina ed., Milano, 1998

     [45] Jung C.G., Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. In questo testo si trova una definizione di archetipo come: "contenuti dell'inconscio collettivo" [pagg. 69 e.ss.], "tipi primigeni, immagini comuni presenti fin dai tempi remoti" [pag. 17]. Il termine appare nel 1919 e deriva da archè 'principio, origine' e typos 'forma, immagine' quindi non un contenuto; la struttura dell'archetipo è assolutamente priva di contenuto.

     [46] A questo proposito si ritiene utile sottolineare che il contrario di symbolon, nella etimologia greca, è diabolon con il significato di disunire.

     [47] Ivi. "tutti i fenomeni naturali mitizzati, [...] sono piuttosto espressioni simboliche dell'interno e inconscio dramma dell'anima che diventa accessibile alla coscienza umana per mezzo della proiezione, del riflesso cioè nei fenomeni naturali. [...] Il simbolo è il miglior modo di esprimere un contenuto inconscio presagito ma ancora sconosciuto." [pag. 19].

     [48] Numinoso è termine utilizzato per la prima volta da Otto Rudolf per indicare la percezione del divino (dal latino numen=nume).

     [49] Rochedieu E., Jung, Milano, 1972. [pag. 52].

     [50] Se per l'individuo la mancanza di significato simbolico crea una frantumazione dell'essere e del suo rapporto con l'alterità, "nel politico, invece, la caduta di referenti del simbolico provoca due effetti concomitanti: l'incremento della violenza, in forme più o meno patenti e dirette, e il diffondersi dell'allegorico nello spazio proprio dell'ideologia. ... La prassi allegorica nel politico, infatti, è un insieme, spesso incoerente e dispersivo, di simboli celebrati e praticati ma non condivisi, travestimento del vuoto, dell'incertezza, del dubbio, della paura e della solitudine; è un teatro di fantasmi comportamentali, dove agiscono soltanto ... le maschere e i canovacci senza soggetto e senza attori". da Chiodi G.M., La menzogna del potere, Giuffrè, Milano, 1979.

     [51] Jung C.G., op. cit., [pag. 22 e ss.] ove si scrive del caso del frate Niklaus von der Flue per esemplificare la elaborazione del simbolo e la sua chiarificazione nel dogma. L'alternativa poteva essere, come specifica successivamente Jung, la trasposizione nel reale della visione del mandala senza l'assimilazione dogmatica, con il risultato di fare del frate un eretico o, nella ipotesi peggiore, un folle. Jung più avanti afferma: "L'utilità del simbolo dogmatico: esso esprime un avvenimento psichico in modo sopportabile dall'umana comprensione." [pag. 26].

     [52] Jung C.G., op. cit., a questo proposito lo stesso Jung chiarisce come l'uomo ha utilizzato riti, dogmi e réprésentations collectives per il "consolidamento della coscienza" nei confronti dell'inconscio collettivo, poiché "l'umanità sta sempre al confine di cose che essa stessa compie, ma che non controlla". [pag. 41].

     [53] Ivi. "tutto quel che l'Anima tocca diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico". [pag. 49].

     [54] AA.VV., op. cit., da quanto citato nel testo, il simbolo secondo Ricoeur rappresenta "l'inconscio che si è stati ed il Sacro che si deve essere", senza fine, senza una verità da assolutizzare.

     [55] Cassirer E., Saggio sull'uomo,Milano, 1948. "La religione perciò, non pretende mai di chiarire il mistero dell'uomo; conferma e rende più profondo questo mistero. Il Dio di cui parla è un Deus Absconditus, un Dio nascosto. Per conseguenza anche la sua immagine, l'uomo, non può essere altro che misteriosa". [pag. 30].

     [56] AA.VV., op. cit. [pag. 903].

     [57] Ivi. "Il mito, col simbolo, aiuta a sostenere il dolore dell'esistenza. D'altra parte il modo simbolico risponde a esigenze di controllo sociale: una autorità carismatica polarizza, sull'ossequenza del simbolo, i dissensi e le contraddizioni, perché nel contenuto nebuloso del simbolo le contraddizioni (potendo tutte convivere) in qualche modo si compongono. E' come se, nel modo simbolico, si verificasse un consenso fatico: non si è d'accordo su ciò che il simbolo vuole dire ma si è d'accordo nel riconoscergli un potere semiotico. Che poi ciascuno l'interpreti a modo proprio non conta, il consenso sociale è raggiunto nel momento in cui tutti insieme si riconosce la forza, il mana del simbolo. [...]

Importa che ci si raduni intorno al libro, anche se le sue lettere potrebbero essere combinate in mille lodi diversi, e proprio perché esso ha infiniti sensi. Quando venga il momento in cui un senso deve essere posto, e riconosciuto, interverrà il carisma del detentore dell'interpretazione più autorevole a stabilire il consenso. Possedere la chiave dell'interpretazione, questo è il potere." [pag. 906].

     [58] Fromm E., Il linguaggio dimenticato, Garzanti, Milano, 1973.

     [59] Ivi.

     [60] Ivi. L'autore unisce in relazione di parentela il linguaggio simbolico di sogno e mito. Afferma, anzi, che miti e sogni "hanno un elemento in comune, sono tutti 'scritti' nello stesso linguaggio, il 'linguaggio simbolico'" [pag. 10] che Fromm ritiene sia "...forse l'unico linguaggio universale che mai sia stato creato dall'uomo, rimasto identico..." [pag. 11].

Per quanto attiene la tipologia, l'autore individua:

- simbolo convenzionale: nel linguaggio quotidiano (un oggetto, una figura), condiviso da più persone;

- simbolo accidentale: che riguarda una esperienza individuale collegata a una qualche esperienza di carattere personale e non è condivisibile da alcuno;

- simbolo universale: ove "la relazione fra simbolo e ciò che viene simboleggiato non è coincidente ma intrinseca. Essa è radicata nell'esperienza dell'affinità esistente fra un'emozione o un pensiero da una parte e un'esperienza sensoriale dall'altra. Può essere definito universale perché è comune a tutti gli uomini..." [pag. 21].

     [61] Rochedieu E., op. cit.

     [62] Cassirer E., op. cit.

     [63] Todorov T., op. cit.

     [64] Bonvecchio C e Risè C., L'ombra del potere, Red ed., Como, 1998.

     [65] Todorov T., op. cit.

     [66] Ivi.

     [67] Cassirer E., op. cit. " La ragione è un termine assai inadeguato per comprendere tutte le forme della vita culturale dell'uomo in tutta la loro ricchezza e varietà. Ma tutte queste forme sono forme simboliche. Per conseguenza, invece di definire l'uomo animal rationale, possiamo definirlo animal symbolicum. Così facendo indichiamo ciò che specificatamente lo distingue, e possiamo capire la nuova strada che si è aperta all'uomo, la strada verso la civiltà." [pag. 49].

     [68] Todorov T., op. cit. in cui, citando Il linguaggio selvaggio dell'antropologo, scrive: "Invece di contrapporre magia e scienza, megli sarebbe metterle a raffronto come due modi di conoscenza diseguali nei risultati teorici e pratici (...) ma non rispetto al genere di operazioni mentali che entrambe presuppongono e che differiscono meno in natura che non in funzione dei tipi di fenomeni a cui esse si applicano." [pag. 289].

     [69] Bonvecchio C. e Risè C., op. cit. in cui Bonvecchio individua una "vera e propria logica del simbolo (...) [i cui] strumenti interpretativi (...) si differenziano da quelli  codificati dalla scientificità occidentale".

     [70] Ivi. "tramite l'analisi e la strumentazione mitico-simbolica diventa (...) conoscibile (...) quello, che, con il ricorso ai consueti criteri d'indagine, in quanto 'atipico' per la coscienza, non viene assolutamente colto". [pag. 76].

     [71] Mead H.G., op.cit. Tale affermazione proviene dalla teoria dell'interazionismo simbolico.

     [72] Cassirer E., op. cit. Egli afferma che essendo di fisica e metafisica la legge di contraddizione, per cui "il pensiero razionale, logico e metafisico può comprendere soltanto quegli argomenti che sono scevri da ogni contraddizione" non riusciranno mai, nonostante i tentativi sinora tentati, a "risolvere l'enigma dell'uomo". [pag. 29].

Per l'autore, coloro che definiscono l'uomo animal rationale, "volevano piuttosto esprimere un imperativo morale. La ragione è un termine assai inadeguato per comprendere tutte le forme della vita culturale dell'uomo in tutta la loro ricchezza e varietà. Ma tutte queste forme sono forme simboliche". Ed è questa l'unica via, per il filosofo, che può condurre "verso la civiltà". Per una posizione analoga, confronta Bonvecchio C. e Risè C. op. cit.

     [73] Bonvecchio C. e Risè C., op. cit. "un avvicinamento che permette non già la comprensione di ciò che non può che essere ignoto nella sua interezza (l'archetipo)."

     [74] Eliade M.,Immagini e simboli, Jaca Book, Milano, 1998. per cui: "il simbolo, il mito, l'immagine appartengono alla sostanza della vita spirituale, che è possibile mascherarli, mutilarli, degradarli, ma che non li si estirperà mai." E più avanti continua: "Il pensiero simbolico (...) è connaturato all'essere umano: precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo. Il simbolo rivela determinati aspetti della realtà - gli aspetti più profondi - che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza".

     [75] Manghi S., op. cit.

     [76] Eliade M., op. cit.

     [77] Ivi. nel quale si trova che: "le immagini sono per loro stessa struttura polivalenti. (...) E' quindi vera l'Immagine [con la maiuscola nel testo. n.d.r.] in quanto tale, in quanto fascio di significati, mentre non lo è uno solo dei suoi significati oppure uno solo dei suoi numerosi piani di riferimento."

     [78] Ivi.

     [79] Ivi. "il mondo è illusorio, privo di realtà, dal momento che la sua durata è limitata, poiché, nella prospettiva dell'eterno ritorno, essa è una non durata". [pag. 64].

     [80] Ivi. Per cui il "tempo contratto" è per l'autore quello diverso dal tempo storico; è il tempo del mito, che avvicina l'uomo alla sua condizione integrale, totale che non significa disconoscere la propria realtà storica, bensì, in essa, conservare le "prospettive del Gran Tempo" [pag. 66] il tempo infinito.

     [81] Elias N., The Symbol Theory, Sage, London, 1991 (trad. it., Teoria dei simboli, Il Mulino, Bologna, 1998).

     [82] Ivi. "I membri di società meno differenziate hanno una diversa esperienza del tempo e spesso non hanno bisogno di orologi personali. Lo sviluppo riscontrabile va da una concezione più personalizzata e discontinua del tempo nelle società più semplici a una concezione più impersonale e continua nelle società più complesse, in corrispondenza con l'ampiezza delle catene di interdipendenze e con la differenziazione funzionale. Nelle società del secondo tipo gli individui dotati di un grande controllo di sé devono adattarsi tra di loro come parti di una rete di contatti e necessità sociali sempre più intricata che richiede una simbolizzazione del tempo di alto livello socialmente standardizzata, affinché tale rete possa essere mantenuta in una condizione controllabile e prevedibile". [pag. 19].

     [83] Eliade M., op. cit.

     [84] Ivi.

     [85] Bonvecchio C., Immagine del politico, saggi su simbolo e mito politico, Cedam, Padova, 1995.

     [86] Edelman M., op. cit.

     [87] Ivi. Il concetto di simbolo è considerato 'forte' quando "punta direttamente sull'autonomia logica e sulla forza conoscitiva del simbolo" [pag. 15].

Un uso forte si ritiene pure applicato dall'interazionismo simbolico di H.G. Mead e dall'etnometodologia, "in cui la realtà sociale non è concettualizzata in termini di una struttura istituzionale stabile e a priori né in termini di imperativi funzionali, ma bensì viene interpretata come un intergioco dinamico di ... significati che i soggetti agenti 'concretamente' negoziano nelle interazioni" [pag. 16].

     [88] A questo proposito confronta in Edelman M. op. cit. "Così ad esempio Friedrich attira l'attenzione sul simbolismo che riguarda il c.d. 'mito di fondazione' del sistema politico, come la bandiera, la costituzione, le ricorrenze patriottiche, le cerimonie di consacrazione di monumenti ecc.; e conclude che 'è dubbio che un ordine politico possa durare senza simboli efficaci, non solo simboli per il suo mito, ma anche per la sua ideologia e i valori e le credenze sopra i quali l'ideologia riposa'", per quanto riguarda la prima prospettiva, per la seconda, così citando Pelayo: "accentua il 'processo integratore' attraverso il quale il simbolismo (bandiere, emblemi, persone, luoghi ecc.) trasforma 'una pluralità sociale... in un'unità di potere capace di opporsi alle unità rivali..." [pagg. 24-26].

     [89] Lasswell H.D. e Kaplan A., Power and Society. A framework for Political Inquiry, London, Yale University Press, 1950 (trad. it a cura di Mario Stoppino., Potere e società, Il Mulino, Bologna, 1997).

     [90] Ivi. "Le interazioni politiche tra persone e gruppi sono costituite da modelli di influenza e di potere, che si manifestano in, e sono influenzate da, simboli, e si stabilizzano in caratteristiche pratiche politiche". [pag. 90].

     [91] Ivi. [pag. 149].

     [92] Ivi. Lasswell offre una accurata analisi nel capitolo sesto, dedicato al simbolo, del fenomeno legato al rapporto tra potere , élite, manipolazione simbolica e massa.

     [93] Edelman M., op. cit. "Queste credenze [che hanno un carattere mitico] hanno per oggetto praticamente tutte le istituzioni della politica, in particolare quelle della politica democratica: le elezioni, le istituzioni rappresentative, la leadership, l'amministrazione, la giustizia, ecc., le quali, nelle attività di cui sono fatte o che comportano, sono in buona sostanza riti. (...) hanno la medesima funzione di rassicurazione simbolica per la massa, giacché placano risentimenti e giustificano le ineguaglianze, e danno senso e ordine alla realtà." [pag. 32].

     [94] Ivi. "...mostrare come all'inefficacia fattuale delle leggi sia associata un'elevata importanza simbolica per la massa: queste leggi infondono 'la certezza che la collettività o l'interesse pubblico saranno tutelati.'". [pag. 33].

     [95] Un concreto ed estremo esempio di tale "degenerazione" simbolica del disposto normativo è rintracciabile nella analisi storico-giuridica della tragedia bolscevica per cui "socialismo bolscevico e nazionalsocialismo (...) hanno, in realtà, affinità assai profonde e rilevanti, (...) esse rappresentano una degenerazione per molti versi anche consequenziale di un unico archetipo, la volontà generale di Rousseau (...) Intesa come essenza del bene (...) colta ed interpretata in nome e per conto di tutti i consociati da un organo commissariale unico ..." [pagg. 8-9] e più avanti: "Tuttavia, talvolta, il disposto della Legge Fondamentale si limita ad enunciare in termini oltremodo generici la linea strategica indicata dal partito, la quale, in questi casi, può essere colta appieno soltanto mediante l'esame della normativa ordinaria, vale a dire delle scelte operative concrete e delle modalità tattiche dettate dal partito stesso per il conseguimento dei fini del bolscevismo..." [pag. 10].  Queste note sono tratte da:

Codevilla G., Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa,Franco Angeli, Milano, 1996.

     [96] Edelman M., op. cit.

     [97] E' la concezione di Edelman dell'uso dei simboli nella politica.

     [98] Demarchi F. ed al. (a cura di), op. cit. [pag. 1539].

     [99] La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna, 1973. Genesi 1,26 "E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra."

     [100] Bonvecchio C., Immagine del politico, CEDAM, Padova, 1995. In questa prospettiva confronta l'interessante saggio  "il Segno di Caino come archetipo del potere" pagg. 47-87.

     [101] Bonvecchio C., op. cit. "Ne viene che l'unica conclusione possibile per ciò che attiene al POTERE - e per tutto il campo problematico che lo circoscrive - è che il POTERE non è, per sua natura, definibile." [pag. 135].

            Stoppino M. op. cit., "sebbene la loro fertilità relativa sia molto diversa, nessuno dei metodi di ricerca finora adottati è in grado di accertare in modo sufficientemente attendibile la distribuzione complessiva del potere nella comunità (o , in generale, in un sistema politico). Ciò sembra indicare che , per studiare empiricamente il potere, non bisogna utilizzare semplicemente l'uno o l'altro dei metodi menzionati ma usare un ventaglio articolato di tecniche di ricerca" [pag. 32-33].

     [102] AA.VV., Enciclopedia Einaudi,  op. cit. Voce "Potere". ... è nel cuore della sua costruzione 'trascendentale', per così dire, che si scoprono le alternative. La cosa è inquietante perché ora al centro della formazione dell'oggetto empirico s'inserisce una specie di 'illusione trascendentale'." [pag. 996].

     [103] Stoppino M., potere e teoria politica, Giuffrè, Milano, 1995 "Inteso in senso specificatamente sociale, e cioè in rapporto alla vita dell'uomo in società, il potere si precisa e diventa, da generica capacità di operare, capacità dell'uomo di determinare la condotta dell'uomo: potere dell'uomo sull'uomo. L'uomo non è solo il soggetto ma anche l'oggetto del potere sociale." [pagg. 1- 2].

     [104] Demarchi F. ed al. (a cura di), op. cit.

     [105] Demarchi ed al. (a cura di), op. cit. "Come afferma A. Hawley, 'ogni atto sociale è un esercizio di potere, ogni rapporto sociale è una equazione di potere, ogni gruppo o sistema sociale è un'organizzazione di potere'. Queste affermazioni riflettono quella, anteriore di altri vent'anni, di un filosofo sociale, B. Russell: 'Il concetto fondamentale nelle scienze umane è il potere, come l'energia nelle scienze fisiche', e a loro volta ispirano numerose definizioni e teorizzazioni successive." [pag. 1538].

     [106] Un definizione così generale e preliminare ( potere = capacità di produrre effetti) si ha in diversi autori: Demarchi F. ( a cura di), op. cit. "In sociologia, potere si definisce come la capacità di un attore o agente di produrre gli effetti voluti nell'ambiente esterno." [pag. 1537]; Stoppino M., potere e teoria politica, Giuffrè. Milano, 1995. "Nel suo significato più generale, la parola 'potere' designa la capacità o possibilità di operare, di produrre effetti.";  De Jouvenel B., La teoria pura della politica, Guffrè. Milano, 1997. "le parole generano azioni; e la loro efficacia aumenta se sono proferite con autorità" [pag. 125]; Lasswell H.D., op. cit. "Il potere è la partecipazione alla presa di decisioni: G ha potere su H rispetto ai valori K, se G partecipa alla presa di decisioni che influenzano le linee di condotta di H riguardanti i valori K."; mentre in Bobbio N., Stato, Governo e Società, Einaudi, Torino, si trova un esauriente elenco di "teorie del potere" [pag. 66-67]; Rush M.,Politica e società, Il Mulino, Bologna, 1994, che citando Bertrand Russell afferma che "Il potere', secondo Bertrand Russell [1938, trad.it. 1967,29], 'è la capacità di realizzare effetti desiderati' In un contesto di 'equilibrio di potere', di 'grandi potenze' o di 'superpotenze', la definizione di Russell può essere facilmente esemplificata e spiegata".[pag. 56].

     [107] De Marchi F., op. cit.

     [108] Lasswell H.D. e Kaplan A., op. cit. "Il potere è, inoltre, una relazione triadica. Non basta specificare chi esercita il potere e chi lo subisce: occorre aggiungere l'area di attività rispetto alla quale il potere è esercitato (la sfera di potere)." [pag. 117].

     [109] Rush M., op. cit."E' utile considerare il potere sia come risorsa che come processo, dal momento che un aspetto è complementare all'altro, e serve ad analizzare anche i tentativi di esercizio del potere non coronati dal successo". [pag, 57].

     [110] Stoppino M., op. cit. "Ma se mi trovo a essere solo o se l'altro non è disposto a tenere quel comportamento per nessuna cifra di denaro, il mio potere viene meno. Il che dimostra che il mio potere non consiste in una cosa (in questo caso il denaro), ma nel fatto che vi è un altro e che questi è indotto da me a comportarsi secondo i miei desideri."

     [111] Bobbio N., Stato, governo, società, Einaudi, Torino, 1995. "Nella filosofia politica il problema del potere è stato presentato sotto tre aspetti, in base ai quali si possono distinguere tre teorie fondamentali del potere, sostanzialistica, soggettivistica e relazionale." [pag. 67]. Proseguendo Bobbio collega alla teoria sostanzialistica Hobbes per il quale il potere sono i mezzi, concezione ripresa poi da Bertrand Russell; Loke viene collegato alla teoria soggettivistica per cui il potere è la capacità del soggetto di ottenere determinati effetti. In quanto alla teoria relazionale: "Peraltro l'interpretazione più accolta nel discorso politico contemporaneo è la terza, che si rifa' al concetto relazionale di potere e per la quale quindi per 'potere' si deve intendere una relazione tra due soggetti di cui il primo ottiene dal secondo un comportamento che questi altrimenti non avrebbe compiuto. La più nota e anche la più sintetica delle definizioni relazionali è quella di Robert Dahl" [pag. 68].

     [112] Stoppino M., op. cit., "Quello del potere è uno dei fenomeni più generali della vita sociale. Si può dire che non esiste praticamente rapporto sociale nel quale non sia presente in qualche grado l'influenza di un individuo o di un gruppo sulla condotta di un altro individuo o gruppo." [pag. 26].

     [113] Moscovici S., op. cit. "E' il potere, in effetti, la fonte inevitabile dei rapporti tra gli uomini. Si esercita dappertutto, a scuola e in famiglia, al mercato e nell'amministrazione, e, com'è ovvio, nello Stato e nella chiesa." [pag. 278].

     [114] Arendt H., Sulla violenza,Milano, 1971 "Nessuno che sia impegnato a pensare la storia e la politica può restare inconsapevole dell'enorme ruolo che la violenza ha sempre esercitato nelle questioni umane". [pag. 15].

     [115] Sorel G., Scritti politici, Torino, 1963.

     [116] Stoppino M., op. cit. "al silenzio intorno alla violenza ha contribuito l'intensa penosità dell'esperienza che la parola designa. La violenza è un fatto terribile [...] Di qui la tendenza a respingere la violenza, a ripararsene, a sfuggirvi; e anche a evitare, fin quando è possibile, di farne l'oggetto esplicito e diretto del proprio pensiero, a nasconderla nella penombra della coscienza. Per il potere la situazione è diversa. Il potere è una relazione tra volontà [...]. In questa prospettiva, una analisi molto generale del concetto di potere può perfino avere la funzione di esorcizzare gli aspetti più brutali del fenomeno. Con la violenza, invece, non si possono fare giochi di prestigio. La violenza è univoca: è sempre terribile e brutale. Ciò rende socialmente molto penoso lo sforzo di condurre un esame spassionato e distaccato; e, finché è possibile, si cerca di scansarlo. In questo senso, della violenza si parla poco come si parla poco della morte." [pag. 67].

     [117] Stoppino M., op. cit., "v'è la minimizzazione del ruolo della violenza. [..]Essa non è che una rude interruzione del processo politico; anche la violenza 'legittima' dello stato interviene soltanto in via eccezionale e come ultima risorsa, e ha perciò, una funzione marginale." [pagg. 67-68].

     [118] Rush M., op. cit.

     [119] Stoppino M., op. cit., "Il soggetto passivo può giudicare il contenuto del comando, positivamente o negativamente, alla stregua dei propri criteri di valore; ma il fatto che egli esegua il comando o la direttiva del soggetto attivo non dipende da tale valutazione..." [pag. 99].

     [120] Ivi. Pag. 162. Come pure in Bobbio N., op. cit., viene definito il "potere ideologico" che "è quello che si vale del possesso di certe forme di sapere, dottrine, conoscenze, anche soltanto d'informazioni, oppure di codici di condotta, per esercitare un'influenza sul comportamento altrui e indurre i membri del gruppo a compiere o non compiere un'azione.Da questo tipo di condizionamento deriva l'importanza sociale di coloro che sanno [...], perché attraverso le conoscenze che essi diffondono o i valori che predicano e inculcano si compie il processo di socializzazione di cui ogni gruppo sociale ha bisogno per poter stare insieme.

     [121] Ivi. "il termine [manipolazione, n.d.r.] indica alcuni particolari rapporti di potere caratterizzati da uno scarto marcato tra il carattere attivo e intenzionale dell'intervento del manipolatore e il carattere passivo e inconsapevole della condotta risultante del manipolato. In altre parole, il manipolatore tratta il manipolato come se questi fosse una cosa: maneggia, manovra, plasma le sue credenze e/o i suoi comportamenti, senza passare attraverso il suo consenso o la sua volontà consapevole." [pag. 135].

     [122] Ivi. Sono le tipologie relative l'analisi del potere che utilizza Mario Stoppino. Per l'autore una classificazione formale riguarda gli aspetti concreti, relazionali; la tipologia sostantiva invece attiene alle risorse sociali sulle quali si fonda il potere (violenza, risorse economiche e risorse simboliche).

     [123] Ivi. [pag. 163].

     [124] Bobbio N., op. cit. "Il criterio del mezzo è quello più comunemente usato anche perché permette una tipologia insieme semplice e illuminante, la tipologia cosiddetta dei tre poteri, economico, ideologico, politico, ovvero della ricchezza, del sapere, della forza." [pag.72].

     [125] Ivi. [pag. 197].

     [126] Rush M., op. cit. [pag. 57].

     [127] Bonvecchio C., op. cit. [pag.135].

     [128] Canetti E., Potere e sopravvivenza, Milano, 1974. Per Canetti la situazione del sopravvivere è la situazione centrale del potere. L'uomo che non crede alla morte sino a quando non l'ha dinnanzi, la sperimenta negli altri. La soddisfazione del confronto con il morto è un trionfo che si esprime compiutamente solo nella battaglia che è il passaggio che porta al mito dell'eroe: il vincitore che acquista sempre maggiore invulnerabilità per mezzo dell'uccisione dei suoi nemici; la sua nudità si riveste, si corazza dei suoi trionfi. Addirittura per Canetti "la passione è quella del potere": il potente vuole essere l'unico; vuole sopravvivere a tutti, è la brama di sopravvivere agli altri. Nel delirio del giudice, tutti sono morti, egli è il solo, l'unico nello stadio ultimo del potere; egli è il fuhrer; gli altri diventano sempre più piccoli sino ad esserne in lui inglobati: è l'annientamento nel capo.

     [129] Chiodi G. M., op. cit.

     [130] Ivi. "Nel sistema politico, oltre ad essere invisibile, il potere è indivisibile; qualsiasi spartizione del potere indica che il potere è altrove. (...) L'affermazione contraria, ma non incompatibile, che sostiene la pluralità e la molteplicità del potere e la sua distribuzione nel sociale, che è una tesi propria dell'analisi empirica, è trattata anche nella teoria dei sistemi, ma è riconducibile soprattutto alla cosiddetta teoria dei conflitti sociali". [pagg. 12-13].

     [131] Ivi. "si scopre che lo spazio del potere è altrove, al di là della rappresentazione ideologica della votazione, al di là dei suoi riti." [pag. 31] e più avanti: "nelle competizioni elettorali (...) non vengono mai messi in gioco, cioè ai voti, né gli effettivi apparati di dominio, né i mezzi materiali di controllo, né l'organizzazione che stabilisce l'unitarietà del potere. (...) Il potere, come il sapere, non si mette mai ai voti." [pag. 33].

     [132] Ivi. "potere politico e violenza si identificano, così come potere politico ed ideologia, ma non si esauriscono in tali identificazioni. Come già si diceva, infatti, si tratta dei tre sottosistemi del potere e dei tre campi fenomenici dello stesso; cosicché nessuno dei tre esaurisce gli altri e, di conseguenza, non si applica tra essi la proprietà transitiva." [pag. 51].

     [133] Ivi. "Il possessore di conoscenza, il partecipe di informazioni e di organizzazione delle informazioni, gradualmente accumulate, può soltanto suggerire delle indicazioni atte all'iniziazione oppure enunciare formulazioni dei risultati raggiunti, alle quali il profano può solo aderire dogmaticamente." [pag. 77].

     [134] Ivi. "Il detentore del potere, attraverso meccanismi di delega, provvede alla costituzione di organi e di apparati esecutivi per l'amministrazione e per ogni altro intervento pubblico. Si tratta del fenomeno noto come burocrazia. La sua modalità costitutiva e riproduttiva è il diritto". [pag. 110].

     [135] Sartori G., Elementi di teoria politica, Il Mulino, Bologna, 1995. " Con il che è già detto come mai i concetti di potere e di coercizione non bastino alla sfera politica. A parte l'obiezione che la politica non è soltanto potere e coercizione, resta il fatto che -oltre al potere politico - dobbiamo anche registrare un potere economico, un potere militare, un potere religioso, e altri poteri ancora". [pag. 272].

     [136] Bonvecchio C. e Coccopalmerio D. (a cura di), Ponzio Pilato o del giusto giudice. Profili di simbolica politico-giuridica, Cedam, Padova, 1998. "questo sapere, intimo, personale, suscitato ed amplificato dal giudice secolarizzato per affermarsi e sostituirsi a un potere che rimandava al trascendente, chiede ora al giudice una normativa sempre più dettagliata ed insistita. Si dirà che il giudice è un soggetto improprio dell'esercizio di potere richiesto, per cui sarebbe più idoneo lo psicanalista o il medico. In realtà (...) il potere di queste ultime figure, almeno nella loro formulazione 'classica', è subalterno allo stesso potere normativo (...) e da esso in buona parte suscitato ed organizzato". [pag. 144].

     [137] Ivi. Così prosegue Risè nel suo contributo interpretativo di M. Foucault: " Fino a quando era vista come il passaggio da un mondo ad un altro, la morte rappresentava la sostituzione della sovranità terrestre da parte di un'altra, molto più potente. Dunque: 'essa partecipava del fasto della cerimonia politica'. Ma nella società secolarizzata: 'è sulla vita e lungo tutto il suo svolgimento che il potere stabilisce la sua presa, la morte né è il limite, il momento che gli sfugge, diventa il punto più segreto dell'esistenza, il più lontano dal potere pubblico'". [pag. 146].

     [138] Ivi. Parotto G., Ponzio Pilato tra il potere e la storia, pagg. 283-292.

     [139] Vi sono diverse posizioni che nello studio delle "amministrazioni" fanno convergere  pubblico e privato. Tra queste il primo in assoluto è Max Weber nel suo Economia e società. Altri autori identificano una tendenza dell'agenzia pubblica ad utilizzare criteri di produttività per fini di efficenza, oppure da parte delle organizzazioni private si rileva la tendenza ad ingrandirsi ed a burocratizzarsi tendendo ad assomigliare alle agenzie pubbliche. In ogni caso non esistono confini fissi tra organizzazione pubblica e privata (confronta in Pasquino G. - a cura di - Manuale di scienza della politica, Bologna, Il Mulino, 1986).

     [140] A questo proposito confronta AA.VV.,Enciclopedia Einaudi, Vol 1, voce Amministrazione, Torino, 1981 [p.453], Demarchi F (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, op. cit., nonché in Pasquino G., op. cit.

     [141] Morbidelli G., Pegoraro L., Reposo A., Volpi M., Diritto costituzionale italiano e comparato, Monduzzi, Bologna, 1995.

"Tutti gli ordinamenti sono dotati di strutture organizzative che hanno il compito di curare in concreto gli interessi della convivenza civile" [p. 595].

     [142] Galbraith J.K., The new Industrial State, Houghton Mifflin, Boston, 1967 (trad.it. Einaudi, Torino, 1968)

     [143] Tale quesito lo si trova alla voce 'amministrazione' di diversi dizionari (Demarchi F., op. cit.; AA.VV. Einaudi op. cit.) apparendo quindi quasi come una esigenza fondamentale legato al concetto stesso di amministrazione e del suo irrinunciabile legame al concetto di potere. Come pure soltanto un sistema/sottosistema amministrativo aperto (alle innovazioni, alla gestione esterna, alla partecipazione attiva dei flussi di input e di output) è in grado di partecipare al consolidamento burocratico nonché di rendere partecipante l'individuo.

     [144] Morbidelli G. ed al., op. cit. per cui l'attività amministrativa è quella "che la P.A. svolge per curare in modo immediato, concreti interessi pubblici indicati dalla legge e secondo i criteri procedurali dettati dalla legge" [p. 604].

     [145] In Morbidelli G. ed al., op. cit. troviamo che Gelide afferma che "lo stato senza amministrazione non è stato" e Weber afferma che gli ordinamenti giuridici territoriali si possono definire stati solo quando è riscontrabile un corpo permanente di personale professionale.

Mentre citando Cassese, l'amministrazione viene definita una "Costellazione di poteri".

 

     [146] Basaglia F. (a cura di), L'istituzione negata, Einaudi, Torino, 1968

     [147] Confronta Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, G. Giappichelli ed., Torino, 1997.

     [148] Pasquino G., op. cit.

     [149] Ivi [p. 409].

     [150] Ivi

     [151] Lasswell H.D. e Kaplan A., op. cit.

     [152] Lasswell H.D e Kaplan A., op. cit. "Ma la politica, intesa nel senso di presa delle decisioni, è un processo che continua attraverso tutte le fasi dell'atto governativo. Vi è un processo continuo di determinazione congiunta dei fini e dei mezzi. In effetti, è tanto lontano dal vero che il potere risieda nella sola funzione legislativa, e che l'amministrazione costituisca unicamente nell'applicazione meccanica di decisioni già prese, che in tempi recenti l'amministrazione si è resa sempre più indipendente dal controllo legislativo". [pag. 256]. Ed a questo punto l'autore così cita L.D. White " "Uno dei paradossi dell'amministrazione moderna consiste precisamente nel fatto che, quanto più i corpi legislativi si sforzano di controllare l'amministrazione, tanto meno vi riescono". White L.D. [1938], Public Administration, voce in Encyclopedia of the Social Sciences.

     [153] Lasswell H.D. e Kaplan A., op. cit.

     [154] Ivi. "Una gerarchia è una struttura di relazioni di potere diseguali; (...) è così un aggregato coordinato di persone, tra le quali le relazioni di potere stabiliscono un ordine di superiori e di subordinati. (...) I gruppi di potere tendono a trasformarsi in gerarchie. (...) Un gruppo  che esercita potere differenzia le sue pratiche di potere in una struttura coordinata di superiori e subordinati. (...) Un fattore anche più importante, che conduce un gruppo di potere a trasformarsi in una gerarchia, è dato dagli interessi di convenienza. L'instaurazione di una gerarchia consente di risolvere i conflitti tra gruppi il cui potere si riferisce a sfere ed a campi che si sovrappongono. (...) Così la formazione di una gerarchia contribuisce a stabilizzare la struttura di potere. Anzitutto, perché riduce al minimo i conflitti. (...) la struttura di potere che ne risulta è sostenuta dall'intera gerarchia: ogni membro della gerarchia ha ora un interesse permanente nella distribuzione del potere." [pagg. 266-268].

     [155] Edelman M. op. cit.

     [156] Alibrandi L., (a cura di), Il nuovo codice penale, La tribuna, Piacenza, 1998

     [157] Overload viene inteso come "sovraccarico"; il termine proviene dal linguaggio cibernetico e nella prospettiva sistemica, rappresenta un carico di input, a cui non corrisponde un adeguato riscontro di output per cui questi ultimi risultano inadeguati. In altri termini, come espresso nel Pasquino: "Alle radici di questa situazione ci sarebbe il grande allargamento del campo di interventi della politica nell'epoca dello stato del benessere che ha fatto sì che i governi siano ritenuti sempre più responsabili dell'andamento globale dell'economia e della società e siano, quindi, diventati destinatari di aspettative crescenti da parte dei cittadini. A questa crescita sul versante dell'input, non corrisponderebbe, dal lato dell'output, un incremento paragonabile delle capacità di realizzazione delle strutture di governo, sia in sede di decisione che di esecuzione delle decisioni". Pasquino G., Manuale di scienza della politica, Il Mulino, Bologna, 1986.[pag. 341].

     [158] Edelman M., op. cit.

     [159] Ivi. "Le leggi elencate sub 1, mentre promettono qualcosa di sostanzialmente diverso da quello che in effetti assegnano, sono anche le leggi più intensamente pubblicizzate come simboli della salvaguardia di interessi generali.

            Smantellamento dei trusts, (...) salvaguardia contro l'arbitrarietà dei prezzi, (...) controllo severo delle burocrazie sindacali (...), carattere 'progressivo' dell'imposta (...) sono tutte formule e simboli che si propinano al pubblico per descrivere la parte più qualificata dell'attività di regolamentazione dell'economia, (...) è (...) tale descrizione ad essere la più fuorviante." [pag. 91].

     [160] Ivi. In questa citazione, così come riportata, Edelman si appoggia all'analisi effettuata da Harold Lasswell, e così prosegue poco più avanti sempre citando l'eminente scienziato politico: "I momenti razionali e dialettici della politica - egli scriveva - sono subordinati al processo attraverso cui si determina in termini emozionali il consenso". [pag. 94].

     [161] Ivi.

     [162] Giddens A., op. cit.

     [163] Edelman M., op. cit.  per cui, come afferma l'autore: " L'affidarsi emotivamente ad un simbolo comporta uno stato di soddisfazione e di quiete di fronte a problemi che altrimenti susciterebbero preoccupazione." E più avanti citando Salomon e Lasswell evidenzia: "Albert Salomon sottolinea che 'la manipolazione delle immagini sociali fa sì che i membri della società possano credere di vivere non in una giungla ma in una società buona e ben organizzata'. E Harold Lasswell formula la questione nel modo seguente: 'La quantità delle leggi approvate dal parlamento o dei decreti stilati dall'esecutivo che non modifichino minimamente le prassi stabilizzate della società, è un indice approssimato del ruolo della magia in politica... La simbolizzazione politica ha la sua funzione catartica...". [pagg. 96 e segg.].

     [164] Ivi. citando Kenneth Burke [pag. 98].

     [165] Per Edelman il fenomeno si esprime nei casi in cui la propaganda si sofferma con particolare risonanza a cose insignificanti oppure indirizzando l'attenzione su problemi importanti ma mai risolti. Nella realtà nazionale in tale prospettiva possiamo citare: i sequestri di limitate partite di droga da parte della GdF ai quali si offre ampia risonanza nei media  ma che nella realtà non incidono nel mercato degli stupefacenti; per quanto attiene un secondo esempio, l'Italia ci offre oramai un ampio ventaglio di casi attinenti le notissime  "commissioni stragi" citate, che in decenni di inchieste non sono state in grado di offrire nemmeno una parvenza di soluzione ai casi affrontati.

     [166] Ivi.  " Di solito, gli obiettivi concreti stabiliti dalla legge vengono perseguiti come se gli amministratori e i potenziale trasgressori partecipassero ad un gioco ordinato da regole sufficientemente chiare. La regola fondamentale è che una certa quantità di casi di disobbedienza non verranno scoperti o non verranno puniti." (...)

"Che cosa succede a livello psicologico quando una legge viene applicata come se si trattasse di un ordine indiscutibile anziché di un sano principio generale su cui poter giocare in modo flessibile? Ci troviamo, in questo caso, davanti ad una prova di forza piuttosto che ad una prova di abilità e quando la legge è considerata un dogma, la disobbedienza diventa eresia: La formulazione del problema in questi termini aiuta a descrivere il cambiamento che avviene nei ruoli sociali e nell'interazione simbolica. Nei casi invece in cui la legge viene applicata nei termini di un gioco, nessuno penserebbe mai che sia onesto trasgredirla..." [pagg. 109-112].

     [167] Ivi. [pag. 112].

     [168] Il problema del linguaggio, diventa fondamentale nei rapporti di potere. Il dare un nome alle cose risale all'esperienza archetipica della creazione. Abbiamo già visto che l'uomo sulla terra è il reggente di Dio, titolare del kratos come creatore. Vi è però una "delega" verso l'uomo, un potere derivato che è quello del "nominare" le cose, l'uomo dà il nome alle cose ed agli animali condizionandoli inconsciamente, collocandoli nell'esperienza; l'oggetto nominato non ha ora nessuna possibilità di essere considerato,  interpretato o paragonato in una prospettiva diversa da quella in cui l'uomo la ha collocato. Nell'ambito del potere amministrativo, locale, che ci interessa, questo potere di nominare le cose è rappresentato: a livello generale dallo Stato che attraverso un atto giuridico "nomina", nel caso nazionale, le regioni sulle quali si sviluppa la sua sovranità, e via via sempre più a livello locale, dal Comune che sempre con un atto di carattere giuridico, "nomina" le vie della città, e su tali vie esplica la propria sovranità. Il bisogno di nominare il territorio rappresenta la necessità anche culturale del potere. La razionalità giuridica ha richiesto la "digitalizzazione" del territorio: in una comunità tradizionale in cui sopravvive la cultura orale, la circolarità dei rapporti rende inutile la necessità di suddividere e frazionare il territorio. [a questo proposito un utile approfondimento si trova in  Fileni F., Analogico e digitale, Goliardica, Trieste, 1996, pagg. 137-238].

     [169] Edelman  affronta il problema delle forme e dei significati del linguaggio politico da una prospettiva multidisciplinare, fornendo una tipologia degli stessi. Secondo l'autore il "significato di un discorso, infatti, dipende da vari fattori, come il contesto in cui viene pronunciato, i bisogni e gli interessi disparati dei destinatari e i loro rispettivi modi di percepirlo". [pag. 199].

L'autore tratta:

- il linguaggio esortativo, presente nelle campagne elettorali, nei dibattiti, nelle fasi importanti del dibattito parlamentare; si basa su categorie molto generali e simbolicamente ambigue, concludenti in promesse o minacce;

- il linguaggio giuridico, naturalmente ambiguo, per cui dando all'esterno una impressione di grande precisione, la certezza della sovranità popolare e dell'autorità della legge, in realtà, consente un amplissimo spazio interpretativo e la sua ambiguità estrema diventa "l'attributo più vantaggioso";

- il linguaggio amministrativo, autorevole e preciso, consapevole "della propria autorità e dell'ampio margine del proprio arbitrio";

- il linguaggio della contrattazione, il quale seppure  impiegato in contesti non pubblici, è "essenziale nella formazione delle scelte politiche" tendendo a collocare vantaggi concreti.

     [170] Ivi. [pag. 113].

     [171] Ivi "Qualche anno fa l'agente Muller della polizia di Chicago gettò nella costernazione e nello sgomento i suoi superiori multando sistematicamente tutti i cittadini che approfittavano della vecchia consuetudine di parcheggiare in una zona di divieto nei pressi del municipio. Quando persino alti funzionari dello stato e della città ebbero subito tale trattamento, il coscienzioso Muller fu trasferito ed assegnato ad una zona remota di sorveglianza." [pag. 110].

     [172]  Ivi. "Sappiamo da numerose ricerche sui processi decisionali che il grado di 'accettabilità' [ del compromesso tra ruoli. ndr]dipende dal grado di sanzioni in cui possono incorrere i gruppi organizzati. Quando uno dei gruppi è organizzato, le norme, una volta applicate, possono venire manipolate in modo da favorirlo esageratamente. In questi casi, gli amministratori, attraverso lo scambio dei ruoli, diventano di fatto parte integrante nella gestione delle organizzazioni che regolamentano". [pag.116].

     [173] Ungaro D., La transizione italiana,  Armando, Roma, 1997. [Cap. terzo, pagg. 59-75].

     [174] Ivi. " un rapporto consolidato e socialmente diffuso tra politica, società ed economia instauratosi a determinate condizioni. (...) l'estensione di una rete di protezioni sociali all'economia locale". [pag, 59] e più avanti: "Nel caso empirico qui preso in esame questo tipo specifico di corruzione ha determinato una convergenza di interessi tra politica, società ed economia locali [la sottolineatura è del redattore], situazione offerta dalla necessità di instaurare un mercato interno protetto." [pag. 62].

     [175] Ivi. "Nel contesto in questione ciascun gruppo di scambio massimizza un certo numero di opportunità, (...) Le pratiche illecite, nella fattispecie, trovano fondamento in determinati presupposti di cooperazione, in base ai quali ogni gruppo è consapevole che il suo guadagno deriva dall'intervento di altri gruppi; si crea dunque una lunga catena di relazioni, (...) un gruppo rilevante di scambisti, i politici, dipende in maniera strategica dal consenso degli altri beneficiari a cui risponde sulla base di una logica di identità di appartenenza strutturata nel tempo. (...) Era però la logica di identità a permettere la durata nel tempo di questo sistema di giochi di cooperazione fondati sull'interesse." [pag. 73].

     [176] Ivi. " Nell'ambito della corruzione ambientale si dirà perciò che i costi collettivi di esclusione, precedentemente descritti, sono quegli svantaggi che ricadono principalmente su tutti coloro che non hanno partecipato ai benefici producenti tali costi. (...) si pensi per esempio, alla generabilizzità dei costi inclusi nel deficit dello stato (estensibili alle generazioni future) a fronte dei vantaggi particolaristici concessi e finanziati sulla base del debito pubblico. Il costo collettivo di esclusione risulta quindi essere uno svantaggio che accompagna necessariamente la concessione di benefici particolaristici." [pag. 71].

     [177] Ivi. "La rappresentanza politica liberal-democratica moderna si basa sul divieto di mandato imperativo anche perché il rappresentante viene considerato il portatore del bene collettivo, non già degli interessi particolaristici dei suoi elettori. Questa funzione simbolica inizia al momento dell'elezione del rappresentante (...) il compito essenziale del politico è quello di limitare al massimo l'impatto dei costi collettivi di esclusione. Se la politica abbandona questa sua funzione essenziale, la difesa del bene pubblico potrà essere appaltata ad altri attori istituzionali." [pagg. 71-72].

     [178] Edelman M., op. cit., [pag. 124].

     [179] Ivi. "I processi amministrativi sono strutturati in modo tale che i benefici vengono percepiti in rapporto ad obiettivi astratti, simbolicamente potenti e largamente condivisi, e non in rapporto ai loro destinatari concreti. Si verifica in questo caso un affascinante esempio di un ben noto principio di psicologia: il principio per cui noi selezioniamo e interpretiamo gli oggetti della nostra percezione secondo un'idea precostituita della realtà. Questo nostro modo di funzionamento  è presente e continuamente ripetuto nell'attività amministrativa." [pag. 131].

     [180] Un esempio tutto italiano recente può essere la riforma delle pensioni che tanta parte ha avuto nei media e nelle manifestazioni politiche e che si è risolto con l'accettazione pressoché passiva di un regime previdenziale decisamente penalizzato rispetto alla precedente normativa.

     [181] Ivi. "L'elemento comune ai contesti politici cui abbiamo fatto riferimento (...) è la loro natura artificiale. Essi sono sfacciatamente costruiti in modo da evidenziare una distanza dalla routine della vita quotidiana e dunque una realtà eccezionale o eroica insita nei processi che questi contesti strutturano. L'imponenza, la ricercatezza e il formalismo sono i tasti più comunemente toccati nella progettazione di queste scene, e tali elementi sono presentati in una dimensione che concentra costantemente l'attenzione sulla differenza tra la vita di tutti i giorni e la circostanza speciale che si verifica quando si presenzia ad un'udienza, ad un dibattito parlamentare o ad un evento di importanza storica. (...) Scenari di questo tipo rendono gli spettatori più ricettivi e maggiormente condizionabili." [pag.164].

     [182] Ivi. "La vistosità con cui in certe situazioni un contesto si presenta allo sguardo e all'attenzione, sta ad indicare in che misura il pubblico venga proiettato in un universo artificiale, in un'apparenza. Questa immagine apparente, a sua volta, favorisce il funzionamento di un simbolismo evocativo, di condensazione e, parallelamente, allontana l'attenzione da un'analisi conoscitiva e razionale e da un intervento sull'ambiente concreto". [pag. 165].

E' in questa situazione che entrano in gioco quelli che l'autore chiama "simboli di condensazione"  i quali "evocano le emozioni associate alla situazione. Essi condensano in un solo evento, segno o atto simbolico, l'orgoglio patriottico, le ansie, i ricordi di glorie e umiliazione passate, le premesse di una futura grandezza; solo qualcuno o anche tutti questi sentimenti. (...) Gli atti politici controversi, lontani dall'esperienza immediata dell'individuo e refrattari alla sua influenza (...) per il pubblico di massa (...) sono destinati a diventare simboli di condensazione, simboli dall'impatto emozionale che forzano il consenso ai fini dell'armonia sociale e operano come punti di focalizzazione di tensioni psicologiche".  [pagg. 70-72].

     [183] Meyrovitz J., Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1995.

     [184] Edelman M., op. cit., "Esso [il contesto] comprende tutte le supposizioni, generalmente accettate, sulle cause e i motivi di fondo degli eventi. (...) Le leggi creano una dimensione in cui poter agire. (..) I greci riconoscevano che la stesura di una legge non significa riflettere una 'volontà' pubblica; è soltanto dopo, attraverso una successiva contrattazione e successive scelte amministrative, che i valori trovano una sorta di realizzazione politica, Formulare una legge significa essenzialmente costruire un contesto". [pag. 171].

     [185] Ivi. [Pag. 241].

     [186] Dematteis G., op. cit. "l'uso della geografia come forma di controllo politico presenta la debolezza di poter funzionare anche in senso opposto. Da mezzo di riproduzione mimetica dell'esistente, si può trasformare in mezzo altrettanto efficace della sua  trasformazione e persino del suo sovvertimento". [pag.148], e più avanti "l'esplorazione del territorio è indispensabile a chi vuole controllare e mantenere lo status quo, come a chi vuole cambiarlo. (...) Invece di fatto [la geografia, ndr] è un'attività ambigua." [pag. 149].

     [187] Giddens A., op. cit. [pag. 174].